Il totalitarismo finanziario

La rivoluzione finanziaria avviata nel 1971 con la fine del “gold exchange standard”, che impegnava la stampa della carta moneta a un vincolo sottostante reale come l’oro, consentì di riprodurre carta moneta all’infinito, slegata da un sottostante reale.

L’economia, da scienza sociale basata sull’emozionalità dell’uomo, diventava innaturalmente scienza esatta, incentrata su numeri astratti slegati dal reale contro la realtà, ma in funzione di interessi superiori. E contro la scienza la finanza diventava razionale. Robert Lucas, premio Nobel, affermava in modo incontrovertibile che i mercati finanziari sono razionali e non sbagliano mai nell’allocazione delle ricchezze, così perfino la bolla speculativa ed emozionale di Lehman Brothers diventò solo un incidente di percorso.

Il cammino senza ostacoli della finanza ha radicalmente cambiato la modalità di accumulazione della ricchezza e della sua distribuzione. Fino al 1971 il quintile più povero negli Usa cresceva più del quintile più ricco. Successivamente, la rivoluzione finanziaria ha consentito di creare la maggiore concentrazione di ricchezza della storia. Quindi, ha insediato al potere una plutocrazia che, a sua volta, ha dato posto al totalitarismo finanziario non meno pericoloso e antidemocratico sia di quello politico-militare. In forme diverse, pertanto, consente agli interessi di pochi di determinare e influenzare la vita di tutti.

I padri costituenti avevano già allora ben chiaro il dramma della concentrazione della ricchezza come scriveva Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, principale autore della dichiarazione di indipendenza e presente sul monte Rushmore accanto a George Washington, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt:

“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti. Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l’emissione del denaro, dapprima attraverso l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno alle banche priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato”.

La plutocrazia negli Stati Uniti ha cominciato la sua corsa a ridosso della rivoluzione finanziaria, osservando il periodo 1989-2021. Dividendo in cinque quintili la popolazione americana dal più ricco al più povero, la dinamica della crescita ha contribuito alla concentrazione di ricchezza verso l’alto nella scala retributiva. Il venti per cento più ricco è passato dall’avere il 60,7 per cento della ricchezza totale – nel 1989 – al 70,6 per cento del 2021, mentre il quintile più povero è passato dal 2,89 per cento del totale nel 1989 al 2,75 per cento del 2021. In altri termini, il 20 per cento del quintile più ricco possiede il 70,6 per cento della ricchezza totale, invece i restanti quattro quintili possiedono il 29,4 della ricchezza. All’interno del primo quintile più ricco possiamo vedere come l’un per cento della classe al top passa dall’avere il 17,2 per cento del 1989 al 27 per cento del 2021.

È evidente come all’interno dei quintili ci sia un’ulteriore frammentazione. Così si può vedere come nel quintile più povero la fascia più bassa è infinitamente più tenue della parte alta dello stesso quintile. È l’America profonda dei senzatetto, delle tendopoli, dei tossicodipendenti, dei disoccupati. Le due realtà così profondamente lontane sono l’espressione di una concentrazione di ricchezza che non ha precedenti nella storia. E rappresenta un sistema plutocratico ben lontano dalla tanto ipocritamente declamata democrazia.

Lo spazio temporale 1989-2021 non è casuale ma indicativo del percorso della cultura finanziaria tra accademia, politica e finanza. Nel 1989 abbiamo la caduta del muro di Berlino che segna una nuova storia e lascia libertà ai vincitori di imporre le loro regole, specie nell’economia e nella finanza, che prende il primo premio Nobel nel 1990 con Harry Markowitz. Nel 1994 la finanza diventa razionale con Lucas, che ne fa una verità incontrovertibile. E alla fine del secolo, nel 1999, l’abrogazione della Glass Steagall Act promossa da Franklin Delano Roosevelt per disciplinare la finanza, le apre campi sterminati in cui tutti prodotti finanziari sono liberi di correre senza limiti, promuovendo un totalitarismo finanziario non dissimile da tutti gli altri nei quali la democrazia è un’illustre sconosciuta.

L’esercizio del potere a tutti i livelli rimane nella sfera decisionale di un ristretto numero di miliardari, che controllano e determinano tutti i processi decisionali del Paese, in una logica di stretto interesse del gruppo plutocratico che ha una ricchezza simile a quella di tutta l’Europa messa insieme. Le politiche estere sono influenzate da loro, così come le proposte presentate al Congresso, dove l’80 per cento degli americani non viene rappresentato. E determinano anche quelle dei Paesi collegati e subordinati, privandoli di una loro reale governabilità.

La concentrazione di ricchezza, in questo modo, ha consentito di costituire un Senato virtuale che sta sopra l’ordine di tutti i Paesi, con le eccezioni delle economie crescenti come la Cina ed i paesi del Brics. Un Senato non democraticamente eletto, il cui bene da perseguire non è quello comune ma l’interesse interno a un sistema che diventa un bene assoluto. Abbiamo infranto il senso e la speranza della democrazia dichiarata come una foglia di fico.

La finanza non regolata, così, diventa una forma di totalitarismo non dissimile da quelli che, drammaticamente, vediamo ogni giorno e di cui ne siamo prigionieri fisicamente e culturalmente. Forse prenderne atto potrebbe consentirci di provare a costruire una società più giusta, in cui la disuguaglianza non sia la morte di troppi che, visti come danni collaterali in tutto il mondo soffrono e muoiono.

(*) Professore emerito – Università Bocconi

Aggiornato il 20 dicembre 2022 alle ore 10:45