Pil: Bob Kennedy e l’ambiente

Cinquantatré anni fa, come oggi, il discorso sul Pil di Robert Kennedy. Qualche cosa è cambiato. Non abbastanza. Il mio contributo di oggi, per un domani – spero – migliore.

Il fatto che ad una accresciuta attenzione per l’ambiente corrisponda l’intenzione di orientare gli investimenti ed i sostegni alle imprese, in una direzione che favorisca uno sviluppo sostenibile non può farci dimenticare che, fermo il rispetto dei principi sui quali si fonda il sistema e delle leggi, l’attività di impresa è – ma, vorrei dire, deve essere – finalizzata alla produzione di utili e di ricchezza che premino il capitale investito e retribuiscano adeguatamente l’impegno delle persone che lavorano.

In questa prospettiva, un’impresa come quella che rappresento, da sempre attenta al rispetto dell’ambiente, coglie un’opportunità per certi versi irripetibile e proseguirà nel suo impegno volto a coniugare la corretta attuazione dell’oggetto sociale, costituito dallo smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi, in un contesto di innovazione economica e sociale, ultimo anello di un’economia circolare nella quale il rifiuto non è più – come recita la definizione del concetto dettata dall'Unione Europea – un bene del quale gli uomini intendono disfarsi, ma una potenziale risorsa da reimpiegare, dalla quale, se possibile, ricavare energia e, in ogni caso, trarre risorse.

Nel corso di quest’ultimo periodo noi, che da tempo abbiamo installato pannelli fotovoltaici sui terreni adibiti a ricovero del materiale smaltito e procediamo a continue sperimentazioni per verificare l’impatto sull’ambiente della nostra attività, ci siamo chiesti quali iniziative assumere per incrementare il valore dell’azienda in un contesto nel quale l’ecologia non è più un mero complesso di regole da rispettare, ma è assurta a motivo fondante della nuova economia.

Vorrei sottolineare che – ripeto, fermo il rispetto dei principi e delle leggi – chi si trova a dirigere un’impresa non può mai dimenticare che il suo primo dovere è fare in modo che in calce al bilancio si legga, se possibile, il segno “+”, consapevole del fatto che un dato negativo impedisce o penalizza fortemente ogni ambizione o progetto. Dico una banalità, dalla quale, però, vorrei ricavare uno spunto di riflessione.

Il bilancio è fatto di conto economico e di stato patrimoniale. Le attività svolte contribuiscono a comporre il conto economico, che misura la capacità dell’impresa di produrre utili. Il conto economico, in questo senso, è un po’ come il Pil: raccoglie e compara entrate ed uscite e risponde alla domanda se le cose sono andate bene. Ma il conto economico, il Pil dell’impresa, come disse esattamente 53 anni fa Robert Kennedy nel famoso discorso all’Università dell’Arkansas, non misura tutto e, in particolare, non ci dice due cose: se irrobustiamo il patrimonio e se siamo in grado di produrre felicità.

Il nuovo corso dell’economia, più attenta al mondo nel quale viviamo, ci impone di effettuare scelte ed investimenti che irrobustiscono lo stato patrimoniale, vale a dire l’insieme dei beni che rappresentano il patrimonio dell’azienda, che risulta accresciuto – anche in termini di avviamento – dalla disponibilità di beni e attività che si inseriscono in questa nuova economia circolare. Insomma: l’azienda – il complesso dei beni destinati allo svolgimento dell’impresa – vale molto di più se la struttura è adeguata al contesto in cui opera e produce soddisfazione nel sistema.

Oggi, a differenza di qualche tempo fa, le cose stanno così: la maggiore sensibilità ambientalistica è un fatto economico, del quale non si può non tenere conto e che si è tradotto in una significativa voce di bilancio. Anche la felicità – non a caso indicata come un diritto da inseguire nell'introduzione della Costituzione americana – è un valore economico.

Tutto questo, però, non è ancora abbastanza. Noi dobbiamo incalzare, con stimoli incessanti, le autorità di Governo, spingendole ad abbandonare, almeno in parte, le pulsioni meramente repressive, sostituendole con un nuovo diritto premiale, che attribuisce vantaggi, anche fiscali, alle imprese che rispettano le leggi e promuovono l'innovazione, le nuove tecnologie, il recupero dei territori.

Ludwig Von Mises diceva che i governi diventano liberali soltanto quando i cittadini li costringono ad esserlo: essere liberali significa rispettare le leggi dell’ordinamento nel quale si vive, ma implica altresì la consapevolezza che un mondo di imprese ha ragione di essere soltanto quando le imprese producono utili, vale a dire vantaggi per chi investe e per chi lavora, riconoscimenti per chi traccia nuovi orizzonti, destinati a diventare realtà.

 

Aggiornato il 18 marzo 2021 alle ore 09:58