Sull’orlo di un precipizio di insolvenze

mercoledì 23 dicembre 2020


Queste sono dichiarazioni di Mario Draghi. Penso sia importante soffermarsi a lungo sulle dichiarazioni dell’ex presidente della Banca Centrale Europea (Bce) nel suo ruolo di co-presidente del gruppo di lavoro G30 sulla rivitalizzazione delle imprese; dai lavori di tale Gruppo emerge un primo convincimento diffuso: attualmente nessuno è in grado di dire quali attività economiche potranno essere effettivamente redditizie nell’era post pandemica e a quali cambiamenti dovranno andare incontro le aziende per adattarsi al nuovo ambiente. Il Gruppo dei 30 ricordo è un organismo indipendente che mette insieme a livello globale le figure di spicco del pubblico, del privato e del mondo accademico. Sempre nel rapporto emerge un primo incoraggiamento ad avviare un processo per distinguere le attività che possono avere un futuro e quelle che invece rischiano di non averlo. In particolare, Mario Draghi precisa: “Bisogna agire urgentemente, perché la crisi di liquidità che sta emergendo già erode la forza delle attività economiche in molti Paesi. Il problema è peggiore di come appare in superfice, visto che il massiccio afflusso di liquidità e la confusione indotta dalla natura senza precedenti di questa crisi stanno mascherando la reale portata del problema. Siamo sull’orlo di un precipizio di insolvenze, specialmente di piccole e medie imprese, soprattutto quando i programmi di sostegno andranno a terminare e il patrimonio netto delle aziende sarà divorato dalle perdite. I crediti deteriorati sono una minaccia soprattutto per la capacità delle banche di sostenere l’economia”. Queste cose, ripeto, le ha dette Mario Draghi che di solito non ricorre mai ad allarmismi gratuiti, non invoca mai possibili catastrofismi e nella sua storia di grande manager pubblico a scala nazionale ed internazionale ha sempre cercato di identificare le possibili soluzioni ad emergenze che quasi sempre apparivano ingovernabili. Questa volta, invece, Draghi manifesta due preoccupazioni una sulla dimensione attuale della crisi, l’altra sul teatro socio-economico che prende corpo a valle della crisi stessa. Sembra quindi davvero strano che mentre nel nostro Paese si dibatte sulla task force per il Recovery fund, spunti questo intervento dell’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e si assista alla presentazione di un rapporto sul sostegno alle imprese del G30, nel quale Draghi mette in guardia dai rischi della “nuova era”. Nei prossimi mesi, si precisa nel rapporto, “saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare profondamente le economie”. La prossima fase sarà quella delle scelte. Chi dovrà decidere quali compagnie dovranno essere aiutate?”, si chiede Draghi. Nel rapporto, curato anche dall’economista Raghuram Rajan, governatore della banca centrale indiana, si mette in guardia dalla seconda fase; in particolare si precisa: “Se fino ad oggi il problema è stato quello della liquidità delle imprese, ora c’è il rischio di impiegare le risorse pubbliche, che sono scarse, nel sostenere “imprese zombie”.

Un bivio del quale l’Europa è consapevole. In Germania il dibattito sul tipo di sostegno alle imprese è già in atto. In Italia per il momento resta confinato agli uffici del ministero dell’Economia e delle Finanze. Il “Decreto legge Ristori cinque”, che vedrà la luce, come preannunciato, a gennaio, oltre a necessitare di un nuovo scostamento di bilancio, dovrebbe superare la logica dei codici Ateco (la combinazione alfanumerica che identifica le attività) e si dovrebbe allargare la platea delle imprese interessate. Le speranze italiane sono riposte soprattutto sui 209 miliardi del Recovery fund. La preoccupazione delle istituzioni europee è che le risorse siano utilizzate male. Anche pochi giorni fa il commissario agli Affari economici della Unione europea, Paolo Gentiloni, ha fatto capire che il ritardo dell’Italia nel presentare il piano non è un problema. Ma che poi “sarà necessario guardare i singoli progetti”. Ma nel documento del G30, nella parte curata da Draghi, ci si preoccupa di più della immagine che i singoli Paesi avranno a valle della pandemia e si cerca in tutti i modi di svegliare anche il nostro Paese dall’attuale stato di torpore programmatico che lo caratterizza ormai da sei anni. In realtà, Draghi teme l’assetto socio economico del Paese a valle della pandemia, lo teme, a mio avviso, perché ancor prima della pandemia i Governi da Matteo Renzi in poi avevano pensato essenzialmente a strategie di sopravvivenza, a strategie di ampio recupero del consenso e della completa assenza di logiche strategiche di medio e lungo periodo, avevano in realtà preferito ricorrere a trasferimenti in conto esercizio e non in conto capitale. Senza dubbio, sia la diagnosi che la terapia che Draghi prospetta è valida ma difficilmente troverà la condivisione dell’attuale compagine di Governo perché fa paura pensare ad una immagine del Paese ad un anno data, cioè a quando bisognerà riattivare una macchina che, ripeto fino alla noia, non è ferma dal mese di marzo 2020, a causa della pandemia, ma dal 2015. E le soglie del debito e quella del deficit, se lette solo fra un anno, superano il livello già patologico attuale e compromettono in modo irreversibile la credibilità del nostro Paese.

Ha ragione Draghi: siamo sull’orlo del precipizio e sarebbe utile da subito, proprio come detto nel rapporto G30, identificare i possibili scenari dell’assetto che il Paese verrà ad avere dopo la pandemia e contestualmente indicare la serie di strategie da adottare per uscire da uno stato comatoso che, se non risolto al nostro interno, ci porterà automaticamente verso interventi esogeni, verso azioni che la Unione europea, per evitare di incrinare l’intera Eurozona, sarà costretta ad invocare. Questo non è allarmismo perché non viene prospettato da forze politiche della opposizione, non è terrorismo mediatico ma è, a tutti gli effetti, un prodotto che il ministero dell’Economia e delle Finanze dovrebbe approfondire, perché nel 2021 i provvedimenti da prendere non saranno facili, non saranno indolori e, purtroppo, non saranno popolari.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)