Gli errori dei Governi e il difficile approccio alla legge di stabilità

mercoledì 14 ottobre 2020


Sia con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NaDeF), sia con il Disegno di legge di stabilità 2021, il Governo attuale e, in fondo, anche i Governi e gli schieramenti politici che si sono succeduti dal 2015 ad oggi, sono costretti ad ammettere i gravi errori commessi. Leggendo infatti sia i vari interventi del ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, sia la serie degli ultimi comunicati stampa, si ha modo di scoprire che la scommessa su cui il Governo gioca tutta la ripresa del Pil si chiama rilancio degli investimenti a doppia cifra. Secondo la Nota aggiornata del Documento di economia e finanza, dopo la caduta del 13 per cento di questo anno la crescita dovrebbe essere del 27 per cento nei prossimi tre anni, dal 2022 al 2023. Il settore più grande, quello delle costruzioni, avrebbe una crescita del 25,2 per cento nel triennio dopo aver perso il 13,65 per cento nel 2020, + 10,3 per cento nel 2021, + 7,4 per cento nel 2022, + 5,7 per cento nel 2023. È il settore, si precisa nei vari comunicati, in cui è più difficile tradurre le buone intenzioni in risultati, ma anche quello su cui i piani del Governo giocano una partita decisiva, sia con il rilancio degli investimenti in infrastrutture che con il superbonus 110 per cento. Il tendenziale (quindi la previsione senza manovra e Recovery Plan) si sarebbe fermato a più di dieci punti sotto, al 14,2 per cento.

Leggendo queste dichiarazioni e questi impegni nasce spontanea una automatica presa di coscienza: dal 2015 al 2017 con gli “80 euro di supporto ai salari bassi” sono stati erogati circa 10 miliardi l’anno, nel 2018 e nel 2019 tra “reddito di cittadinanza” e “quota 100” a questa somma se ne sono aggiunti ogni anno circa 12 miliardi di euro, questo rilevante volano di risorse non ha consentito l’avvio di nessuna nuova opera nel comparto delle infrastrutture. Solo oggi, però, redigendo il NaDef e il Disegno di legge di stabilità è arrivato il momento della scoperta delle irresponsabilità che si sono accumulate in un quinquennio e queste tragiche irresponsabilità si sono verificate indipendentemente dal “Coronavirus”. Infatti i Governi, dal 2015 in poi, hanno preferito erogare una somma di circa 74 miliardi di euro in conto esercizio e non in conto capitale, una somma che oggi il Governo vorrebbe assegnare al comparto delle costruzioni perché solo oggi ha scoperto che tale comparto è il vero e misurabile motore del Prodotto interno lordo.

Allora dopo tante previsioni che si sono rivelate non vere, dopo rimbombanti annunci su bazooka finanziari (in quattro mesi assegnati circa 100 miliardi di euro), dopo l’annuncio, sempre del ministro Gualtieri, di indebitarsi di un valore pari al 1,5 per cento del Pil per garantire le risorse necessarie per far partire una serie di infrastrutture nel 2021, dopo aver dichiarato che tale indebitamento sarà poi sanato con l’arrivo della quota prestiti del Recovery Fund, penso che sia necessario ed obbligato conoscere davvero quale sia il quadro delle opere che concretamente può attivare la “spesa” e quale sia la tempistica legata al bilancio dello Stato in grado di garantire le relative coperture. Tutto questo non solo non esiste ma i vari diagrammi, le varie slide che danno una immagine di grande qualità analitica al NaDef, eludono completamente queste obbligate esigenze di conoscenza, eludono queste esigenze di trasparenza perché dal 21 luglio ad oggi, dalla data in cui il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ci ha comunicato la serie di “certezze” sia sulla disponibilità delle risorse del Recovery Fund, sia sulla certezza dell’arrivo di una prima tranche del 10 per cento dell’intera somma assegnata al nostro Paese, ebbene da quella data ci sono state solo kafkiane masturbazioni mentali, solo la gara a produrre elenchi di opere inviate a ministeri come lo Sviluppo economico, come Infrastrutture e Trasporti, come Affari europei, ma dal 21 luglio ad oggi non si è fatto nulla di ciò che in un periodo antecedente al 21 luglio la Commissione europea aveva chiesto e che nei primi giorni di giugno 2020 ha precisato meglio inviando delle raccomandazioni specifiche rivolte all’Italia da adottare nel 2020 e nel 2021.

Provvedimenti, questi, volti ad attuare tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia e sostenere l’economia e la successiva ripresa. In seguito, quando le condizioni economiche lo consentano, perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito, incrementando nel contempo gli investimenti; a sostenere i redditi e il sistema di protezione sociale attenuando l’impatto della crisi sull’occupazione attraverso politiche attive e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali; a garantire l’effettiva attuazione delle misure volte a fornire liquidità all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese. Anticipare i progetti di investimento pubblici maturi e promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica specialmente quelli sulla transizione verde e digitale; a migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della Pubblica amministrazione.

L’attrattività e gli investimenti richiedono un contesto favorevole alle imprese e ai cittadini, per questo viene ribadita l’importanza di riforme di accompagnamento al rilancio economico e produttivo che si basino sulla digitalizzazione e l’efficienza della Pubblica amministrazione, includendo il sistema giudiziario. Il processo di trasformazione richiede un impegno costante da parte del Governo con obiettivi chiari, missioni e azioni dettagliate e ben scandite cronologicamente. Il Pnrr (Piano nazionale per la ripresa e la resilienza) è appunto definito in tal senso attraverso aree chiave di intervento per correggere le vulnerabilità del Paese e permettere di uscire da una prolungata fase di stagnazione esacerbata dall’attuale crisi.

Queste raccomandazioni, riportate integralmente nel NaDef, non sono assolutamente state attivate e, ancora più delicato e strano, è quanto anticipato dal presidente Conte alla assemblea di Confindustria, sulla necessità di una norma che istituisca un soggetto responsabile dell’intera operazione preposto al controllo ed alla gestione delle risorse; in realtà non è assolutamente una idea del presidente ma fa parte delle richieste formali avanzate dalla Commissione che ha ritenuto indispensabile richiedere un organismo e non un dicastero interlocutore e gestore unico dei trasferimenti finanziari.

Dopo questa serie di considerazioni nasce spontanea una possibile proposta: i prossimi anni in cui il Paese dovrebbe poter contare su un quadro di disponibilità da parte della Unione europea sono 2022, 2023, 2024, 2025, 2026, 2027; il 2021 come detto prima non disporremo di risorse dal Recovery Fund e quindi la Legge di stabilità dovrebbe subire un cambiamento sostanziale, cioè non dovrebbe limitarsi al solo 2021 come “cassa” nel rispetto del Decreto legislativo 93/2016 e, come respiro programmatico, alle annualità 2022 e 2023, ma dovrebbe essere articolata e garantita in un arco temporale di almeno un quinquennio.

Questa proposta non credo sarà condivisa dall’attuale Governo per un semplice calcolo egoistico: infatti fino alla fine del 2022 non credo questo Governo sarà in grado di dare consistenza operativa al Recovery Plan e all’inizio del 2023, in coincidenza con le elezioni politiche, l’avvio operativo e la inclusione o la esclusione delle opere diventerà grande occasione per vendere, come ormai siamo abituati da anni, promesse o, peggio ancora, assicurazioni come quella ultimamente rilasciata dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli: “Tutte le opere nelle nostre disponibilità dirette decise, progettate e finanziate oggi sono cantieri e penso che dopo 13 mesi di Governo sia un segnale importante”. Simili dichiarazioni, simili comportamenti, mi fanno solo paura.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)