Impresa, ti odio: il mondo rovesciato di M5s e Pd

Vuoi fare l’imprenditore? Allora, hai da morì. L’Economist del 1° agosto scorso esemplifica ciò che ti potrebbe accadere. Desideri aprire un’officina meccanica? Allora ti servono 86 (ottantasei) autorizzazioni-pareri, rilasciati da altrettanti uffici pubblici competenti. Scendi di livello e ti accontenti di avviare una pizzeria a taglio? In questo caso, te ne bastano un quarto, cioè appena 26, di permessi. Poi, però, se hai la sfortuna di cadere nella trappola di un contenzioso contrattuale, vieni dirottato nel girone infernale della giustizia civile da cui non uscirai vivo con un giudizio prima dei tre anni, il doppio di quanto in media ti accadrebbe se tu avessi aperto un’analoga attività in Spagna. Ed è così che La World Bank ci ha classificato quinti nella graduatoria dei Paesi dell’Unione europea che creano i maggiori ostacoli burocratici alla libertà di impresa. Siccome il diavolo sta nei dettagli, Next Generation Eu (Ngeu, il famoso Recovery fund da 750 miliardi di euro) può, alternativamente, arenarsi nelle sabbie mobili di un infinito contenzioso per la redistribuzione dei fondi tra l’efficiente Nord e l’inefficiente Sud, oppure (direi, per un puro miracolo, visto come siamo oggi combinati con i nostri governanti che fanno il tifo per l’Helicopter money) costituire un meraviglioso risveglio della bella addormenta del, facendole fare un salto storico di qualità per mettersi al passo con le sue consorelle del Nord. Il sogno dei pasti gratis potrebbe comportare, al contrario, un conto molto salato per un’Italia già fortemente indebitata (il nostro debito pubblico dovrebbe attestarsi al 160percento del Pil a fine 2020), a causa del pagamento pro-quota degli interessi sul futuro debito comune della Ue. Sud Europa

Nota, in merito, The Economist: “soltanto i rebates (in pratica, gli sconti sulla contribuzione al bilancio comunitario, ndr) a favore dei quattro frugali, Austria, Danimarca, Olanda e Svezia, costeranno al contribuente italiano qualcosa come 11 miliardi di euro” Quindi, al netto, all’Italia spetteranno 70miliardi di donazioni, pari a cinque volte di quanto ottenne con il famoso Piano Marshall. Però, allora, la crescita del Pil fu +8,3percento nel 1948, contro una previsione di +4,3percento alla fine di quest’anno. Per di più, i 127miliardi di prestiti agevolati della Ue costituiscono credito privilegiato, che potrebbe compromettere l’ordinaria emissione di bond nazionali nel caso di turbolenze sui mercati finanziari internazionali. Il che non è affatto escluso se l’Italia dovesse persistere nel suo dannoso atteggiamento di resistenza passiva nell’ottemperare a riforme impopolari, ma assolutamente necessarie, richieste dalla Commissione di Bruxelles per autorizzare l’accesso ai finanziamenti del Recovery fund. E la madre di tutte le riforme riguarda proprio la semplificazione burocratica. Perché, sottolinea il settimanale inglese, l’ostacolo più serio alla crescita economica dell’Italia è proprio rappresentato dal dispendio di tempo che comporta il disbrigo degli obblighi verso lo Stato da parte dei cittadini italiani. Sempre più persone lamentano le interminabili attese per le lunghe file agli sportelli, malgrado le promesse mai mantenute da parte della politica di creare una Pubblica amministrazione digitale, adeguata ai tempi moderni. Per di più, la differenza di passo tra il Nord e il Sud dell’Italia è analoga a quella esistente in Europa tra Germania e Grecia.

Pertanto, se per miracolo l’Ngeu dovesse servire a riallineare le economie del Nord e Sud Italia, sarebbe l’Europa stessa a beneficiarne. La cosa più difficile, però, è il superamento di una radicata mentalità assistenziale, che impedisce al nostro Meridione di fare quel famoso, indispensabile salto di qualità rimediando alle sue gravi carenze infrastrutturali e liberandosi della presenza del crimine organizzato. Ovviamente, tutto questo è possibile solo creando ulteriore ricchezza che solo le imprese in buona salute sono in grado di garantire, mentre le pratiche assistenzialiste non fanno altro che ridistribuire denaro preso a prestito con l’indebitamento pubblico, che dovrà essere onorato dalle generazioni a venire per le quali, si badi bene, non ci stiamo sacrificando dato che, al contrario, stiamo negando loro un futuro. Quindi, allo Stato non rimane altro da fare se non costituire le premesse per rilanciare l’imprenditoria e il gusto degli investimenti presso gli investitori nazionali e internazionali, i soli a poter rilanciare la creazione di nuovi posti di lavoro. Occorre, però, riformare alla radice il modus operandi della Pubblica amministrazione e la strutturazione del pubblico impiego.

Come? In primo luogo, costruendo la base di Big data (Warehouse o Serbatoio digitale unico centrale) degli atti pubblici che riguardano i rapporti tra cittadini e amministrazione. In altre parole, deve essere tracciabile in remoto tutta la storia degli atti amministrativi (cartelle cliniche e fiscali; procedimenti e atti autorizzatori; dati anagrafici e patrimoniali; etc.) che ciascun cittadino ha avuto fin dalla nascita con gli uffici pubblici centrali e locali. Dopo di che, ha senso rivoluzionare il lavoro pubblico sulla base dello Smart working calibrato sul modello privatistico obiettivi-risultati-incentivi, raffinato fino al livello individuale, in modo da coinvolgere a rete milioni di nodi operativi. Rivoluzione quest’ultima che implica un’altissima flessibilità e un’elevata professionalità da parte degli operatori pubblici. Le perdite del mondo della ristorazione e dei servizi alla persona, che ruotano sulla pausa pranzo degli attuali impiegati pubblici, saranno compensate dagli enormi, incomparabili guadagni e risparmi a livello sistemico, generati tra l’altro: dalle mancate spese statali di gestione (decine di miliardi all’anno); dalla diminuzione drastica dell’inquinamento urbano; dal crollo dei consumi di carburanti e, soprattutto, dai guadagni di tempo libero e di lavoro da parte dei cittadini-utenti, finalmente soddisfatti.

Aggiornato il 06 agosto 2020 alle ore 11:57