La speranza non è utile per risolvere le crisi del Paese

mercoledì 24 giugno 2020


Rischiamo di avere assicurazioni, dall’Unione europea, dalla Banca centrale europea, dalla Banca europea degli investimenti, sulla disponibilità di risorse in forma di prestito o in forma di contributo a fondo perduto e poi potremmo scoprire che tali assicurazioni, tali risorse o rischiano di arrivare tardi, o hanno oneri per interessi rilevanti, o hanno condizionamenti talmente elevati da diventare non convenienti. Perché stiamo vivendo questo rischio? Perché non abbiamo nessuna disponibilità finanziaria alternativa e, al tempo stesso, non vogliamo invocare un appesantimento del sistema fiscale già ai limiti della sopportazione da parte dei contribuenti. Allora l’unica possibilità dell’attuale compagine di Governo è quella di raccontare programmi, raccontare certezze sulla copertura di iniziative essenziali per la vita del Paese; l’unica possibilità è quella di vestire appositi provvedimenti con garanzie finanziarie distribuite in trenta anni di cui nei primi tre anni la copertura è praticamente inesistente o minima.

Siamo governati da una compagine che ormai crede solo nel fattore “tempo”, crede solo nella possibilità che il “futuro” possa risolvere ciò che nel presente non si è in grado neppure di affrontare, crede cioè nella sistematica “speranza” che accada qualcosa che possa modificare la triste curva della decrescita. Cosa può succedere, quali sono gli elementi o i fattori che possono in modo esogeno modificare questa difficile tendenza, ne cito solo quattro: il turismo, l’attività manifatturiera, la logistica e le attività legate al comparto delle costruzioni.

Questi quattro riferimenti portanti della economia del Paese partecipano per oltre il 65 per cento nella formazione del Prodotto Interno Lordo e l’unica speranza dell’attuale Governo su un possibile ridimensionamento del rapporto Debito/Pil sta proprio nel fatto che in futuro possa crescere il Pil e quindi, stando una simile voce al denominatore, possa automaticamente ridimensionarsi il rapporto, possa ridimensionarsi l’onere che il Paese paga per la voce “interessi”, possa creare le condizioni per l’attrazione di capitali internazionali.

Questa ammissione ci porta automaticamente verso una prima conclusione: il Governo, con la massima urgenza, non deve più credere nella categoria della “speranza” perché quei quattro fattori che garantiscono, in modo rilevante, la crescita del Pil possono davvero evolversi positivamente a condizione che lo Stato produca scelte strategiche capaci di consentire davvero la crescita. Prendendo ad esempio la logistica non possiamo non ricordare ancora una volta quanto più volte ribadito in precedenti blog: l’assenza di un sistema infrastrutturale adeguato produce un danno annuale all’intero sistema logistico e quindi alla intera capacità produttiva del Paese di oltre 60 miliardi di euro; ma la cosa più grave è l’assenza di un riferimento certo nella programmazione dei punti topici della logistica, mi riferisco, in particolare, alla assenza d una rete capace di ottimizzare al massimo la interazione tra nodi portuali ed interportuali, tra piastre logistiche preposte alla distribuzione e aree di produzione e stoccaggio dei prodotti. In assenza di un organismo catalizzatore di simili attività si rischia di regalare ad organismi ed aziende non italiane un simile ruolo e, in tal modo si rende possibile la crescita non del Prodotto Interno Lordo ma del Prodotto Esterno Lordo (Pel).

L’altro comparto, quello delle costruzioni, è, più della logistica, legato alla capacità del Governo di rendere possibile la reale emissione di Stati Avanzamento Lavori (Sal); cioè la capacità di trasformare una intuizione progettuale in cantiere; ma per emettere i Sal occorre che le stazioni appaltanti affidino i lavori, ma perché ciò avvenga è necessario che le procedure di affidamento non siano sottoposte ad un Codice Appalti ingestibile ed ad un organismo come l’Anac.

Domani, sì domani, non fra una settimana o fra un mese, occorre identificare opere cantierabili ed insilarle in un preciso polmone di interventi esente da procedure folli e supportato solo dalla legittimità della procedura di scelta del soggetto realizzatore e dalla garanzia della assenza di infiltrazioni malavitose. Questa azione dovrebbe produrre, e ciò almeno per otto opere è possibile, la emissione, entro il 31 dicembre 2020, di Sal per un importo pari a circa 5 miliardi di euro e entro il 31 dicembre del 2021 ulteriori 9 miliardi di euro, cioè un punto percentuale pieno di Prodotto Interno Lordo. Sicuramente scatterà la curiosità di conoscere quali siano le sette opere e la risposta è semplice perché trattasi di invarianti, cioè di interventi che nessuno può ostacolare né proceduralmente, né programmaticamente. In particolare le otto opere cantierabili sono: due Lotti della tratta Av/Ac Genova-Milano (Terzo Valico dei Giovi) (2,9 miliardi); tratta Av/Ac Brescia-Verona (2,1 miliardi); tratta Av/Ac Verona-Vicenza (2,7 miliardi); nodo ferroviario di Firenze (2,8 miliardi); Linea C della rete metropolitana di Roma (2,6 miliardi); due lotti costruttivi della tratta Av/Ac Napoli-Bari (1,1 miliardo).

Se queste risorse non sono disponibili o se lo saranno fra due anni, allora non ha senso annunciare programmi e coperture inesistenti. Accanto a queste opere ce ne sono altre, anche queste programmaticamente definibili “invarianti” e relative a: due lotti del valico ferroviario del Brennero (1,4 miliardi); il nodo ferroviario Av di Vicenza e l’asse Av/Ac Vicenza-Padova (2,5 miliardi); la “Gronda autostradale di Genova (5 miliardi); il nodo autostradale di Bologna (600 milioni di euro); l’asse autostradale Orte-Mestre (9,7 miliardi); l’asse autostradale Tor de’ Cenci-Latina e Valmontone-Cisterna (3 miliardi); l’autostrada Caianello-Benevento (Telesina) (470 milioni); tre lotti della strada statale 106 Jonica (4,4 miliardi); Ponte sullo Stretto di Messina (7,4 miliardi); l’autostrada Ragusa-Catania (800 milioni).

Queste opere attivano Stati avanzamento lavori solo fra due anni per un valore globale di circa 36 miliardi di euro; questo quindi è il quadro programmatico che dobbiamo monitorare da subito perché è l’unico che è stato abbondantemente verificato ed è coerente alle esigenze della domanda di trasporto e, al tempo stesso, è inserito nel programma comunitario delle Reti Ten-T. Solo dopo aver dato corso e concretezza a questa azione strategica che consente davvero l’apertura di nuovi cantieri, potremo dare vita ad una nuova impostazione programmatica di opere legate alla riqualificazione urbana, alla identificazione di nuovi assi stradali e ferroviari, al rafforzamento o al rilancio di impianti logistici (porti, interporti, aeroporti).

L’urgenza a dare vita ad un simile approccio trova una ulteriore motivazione: l’Istat ha registrato ad aprile “un drastico calo della produzione nelle costruzioni” che su base annua vede flessioni “mai toccate prima; il calo è pari al 67,8% da aprile 2019, il minimo storico dal 1995”. Questo ultimo dato penso diventi l’elemento scatenante per dare vita, come dicevo prima, “domani” all’avvio di questa articolata proposta di programma e al tempo stesso una simile denuncia spero convinca il presidente dell’Ance, Gabriele Buia, e il segretario della Cgil Maurizio Landini a non credere più alle promesse ed agli impegni del Governo.

Il resto è solo “speranza” e di “speranza” si muore.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)