L’affaire franco-tedesco

mercoledì 20 maggio 2020


Uno spettro si aggira per l’Europa. Il totalitarismo dell’Euro. Un Trattato per una moneta capestro. Tecnicamente, non ha senso parlare di moneta unica in quando l’Unione europea non è dotata né di una fiscalità comune, né di una politica di bilancio europea: quella attuale, denominata “Mff”, ovvero Multiannual Financial Framework, ha dotazioni finanziarie pluriennali per sette anni alimentate con il prelievo di appena l’uno per cento del bilancio globale dei Paesi Ue! Anche la Bce è una sorta di condominio, strutturata com’è su di un board o cabina di comando composto da diciannove banchieri centrali-azionisti in cui il rappresentante tedesco, come si è visto, ha un peso prevalente al suo interno tanto che l’Euro, in pratica, ricalca l’impostazione dell’ex marco germanico! La Banca centrale europea, che risiede a Francoforte, non assomiglia affatto alle sue consorelle del resto del mondo che emettono liberamente moneta in caso di crisi, per contrastare i gravissimi cicli recessivi delle loro economie nazionali, come quelli indotti oggi dalla pandemia da coronavirus, operando l’acquisto illimitato di titoli pubblici del proprio Stato di emissione, al pari di Federal Reserve, Banca del Giappone e Banca d’Inghilterra. Si noti che solo gli Usa in questi tre mesi hanno fatto registrare 30 milioni di nuovi disoccupati, sui quali è arrivata con assoluta tempestività la pioggia di denaro dell’helicopter money! Ma lì, in America, non esplode la rivolta sociale perché appena sarà di nuovo lasciata briglia sciolta gli animal spirits liberisti nel post lockdown, anche l’occupazione riprenderà a crescere vertiginosamente.

Torniamo ai guai di casa nostra. Come ha fatto notare in una clamorosa, recente sentenza la Corte costituzionale tedesca, in contrasto con la Corte di Giustizia Europea (Cge), a norma di Trattato non si possono dare acquisti illimitati di bond del debito pubblico di un solo Paese membro in crisi, poiché esiste il tetto del 30percento per i titoli emessi da un singolo Stato rappresentato. Ovviamente, Christine Lagarde ha detto che loro si sentono vincolati soltanto alle decisioni della Cge e non a quelle delle Corti costituzionali dei singoli Paesi membri. Peccato, però, che il Governatore della Bundesbank sia l’azionista di riferimento della Bce e che la cancelliera Angela Merkel debba risponderne elettoralmente ai suoi cittadini!

La Germania, sia detto fra di noi, meriterebbe una bella procedura d’infrazione dato che, a seguito dell’allentamento temporaneo dei vincoli del Patto di Stabilità europeo, per cui Bruxelles ha autorizzato un volume complessivo di duemila miliardi di aiuti di Stato, la Germania ne abbia utilizzati esattamente la metà, approfittando del fatto che i mercati finanziari le prestano soldi anche a tasso negativo! Ora, la Merkel, conosce bene come scienziata le leggi che governano la fisica dei gas quantistici per cui, se la Germania non riuscisse più a collocare le sue produzioni industriali presso gli altri Paesi europei, si produrrebbe un vero terremoto all’interno della sua economia e del suo generosissimo sistema di welfare. Noi italiani, per esempio, abbiamo la predilezione all’acquisto di auto tedesche anche indebitandoci, cosa che non potremo più fare così come siamo ora combinati. E, infatti, il crollo di vendite di auto nel periodo di lockdown è stato superiore al 90 per cento!

Quindi, Merkel e Macron hanno pensato bene di tagliare il nodo gordiano lanciando alla povera Ursula von der Leyen il salvagente di 500 miliardi di euro in grants (donazioni che non vanno restituite) a beneficio dei Paesi membri più colpiti dalla crisi. Siccome, come al solito, il diavolo sta nei dettagli, incominciamo a sollevare il velo su alcuni di questi ultimi. Primo: quanto vale la leva su 500 miliardi di euro? Ovvero, siccome quell’ammontare deve essere cercato sui mercati finanziari, occorre una leva (di soldi veri!) di almeno 125 miliardi di euro di garanzie da versare pro-quota con un adeguato aumento delle dotazioni dell’Mff, con interessi da pagare a lunga scadenza ripartiti nel tempo tra tutti gli Stati membri. Ora, primo dettaglio diabolico: la revisione del bilancio per un ammontare aggiuntivo all’un percento vanno votati all’unanimità! E già i Paesi rigoristi, Svezia e Finlandia in testa a tutti, hanno mostrato di non volerne sapere! Altro dettaglio non da poco: quale sarà la quota di ripartizione tra Stati membri di questi grants (donazioni) o loans (prestiti)? Quale sarà, di conseguenza, il beneficio netto per le economie che hanno oggi assolutamente bisogno di quelle risorse? In particolare, quale sarà il differenziale tra gli indicatori chiave dell’esborso iniziale e del pagamento successivo degli interessi?

Altro dettaglio: quanto di questa potenziale capacità complessiva di indebitamento dell’Unione europea sarà poi effettivamente utilizzata? Prendiamo il famoso Esm (o Mes, Fondo Slava Stati, che ha oggi una dotazione di 540 miliardi di euro) con i suoi vincoli attenuati, in grado di offrire prestiti a tasso quasi nullo ai Paesi europei più colpiti dalla pandemia: in realtà, anche l’Italia che al momento ne avrebbe assolutamente bisogno non vi farà quasi certamente ricorso, depontenziando così l’attrattiva del Mes da parte dei mercati finanziari internazionali! Lascio intravvedere ancora un altro dettaglio: secondo voi anche cento miliardi di grants a nostro favore sarebbero pasti gratis (da sperperare in iniziative politico-assistenziali), oppure credete che a fronte di questa manna Bruxelles, a giusto titolo, non chiederà e pretenderà l’allineamento dell’Italia all’agenda di riforma più volte richiamata dalla Commissione, per l’adeguamento del nostro sistema nazionale relativamente a fiscalità, giustizia e burocrazia? E, secondo, voi, potrebbe mai essere il Conte-bis a portare a termine una simile impresa, con Partito Democratico e Movimento 5 Stelle che hanno pochissimo slancio per l’impresa e nessuna capacità incisiva di lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, che in venti anni ha quotato qualcosa come duemila miliardi di euro?

 

 


di Maurizio Guaitoli