Il “Celeste Impero” e lo scontro sul debito europeo

È possibile che vi sia un motivo inconfessato alla base del diniego della Germania ad emettere eurobondLa risposta è affermativa: il motivo si chiama Repubblica popolare cinese.

Per metterlo bene a fuoco è necessario un doppio sforzo. Prima di tutto è indispensabile allontanarsi da una visione casereccia della solidarietà tra i Paesi dell’Unione europea. In economia la solidarietà tra gli Stati non è la condizione naturale di vita, può essere tutt’al più una condizione eccezionale, limitata nel tempo. Chiedere di emettere eurobond significa voler introdurre, invece, un meccanismo strutturale nell’economia dell’Unione, di per sé duraturo e destinato potenzialmente a replicarsi.

Per quanto riguarda la proposta dell’Italia, però, può significare anche altre due cose: non aver capito un fico secco di geopolitica, oppure barare. È possibile che il nostro governo, guidato dalla regola aurea dell’“uno vale uno”, non abbia afferrato fino in fondo le questioni di geopolitica economica che coinvolgono l’europea, ma è anche possibile che cerchi di spostare il Paese, senza discussione parlamentare o investitura elettorale, verso nuove alleanze internazionali, portandolo lentamente tra le braccia della Repubblica popolare cinese. Segua, cioè, una sorta di piano mascherato, tentando maldestramente di coinvolgere in esso l’Unione.

Che le cose, a Roma, non siano trasparenti o siano almeno confuse lo testimoniano, rimanendo ai fatti di queste ore, i “festeggiamenti” riservati agli aiuti sanitari inviatici dalla Cina, le dichiarazioni del ministro degli esteri Luigi Di Maio rilasciate pochi giorni fa a tivù e stampa e l’atteggiamento del Presidente Giuseppe Conte, il quale, sbattendo i pugni sul tavolo del Consiglio europeo, ma tacendo sulle questioni di politica economica, alimenta il sospetto di ignorare il tema geopolitico oppure di portare avanti, per l’appunto, un piano mascherato.

Ed eccoci, dritti dritti, al secondo sforzo: individuare lo scenario geopolitico nel quale si muove l’Unione perché, riflettendo attentamente, la questione degli eurobond nasconde quella ben più profonda del futuro del capitalismo europeo e il nodo della protezione dellautonomia economica dellUnione stessa rispetto al capitalismo politico” della Cina. Questo è il cuore pulsante del problema.

Nel 2007 Alan Greenspan, per anni alla guida della Federal Reserve, affermò: «Siamo fortunati: grazie alla globalizzazione, le decisioni politiche sono state in gran parte sostituite dalle forze globali del mercato. A parte la sicurezza nazionale, non fa molta differenza chi sia il prossimo presidente. Il mondo è governato dalle forze del mercato”.

Greenspan aveva ragione, ma sottovalutava quello che Alessandro Aresu, in un bel libro di recente pubblicazione (Le potenze del capitalismo politico, edito per i tipi de “La nave di Teseo”), ha correttamente definito “capitalismo politico”, espressione che, per la sua efficacia, ho ripreso poco sopra. Questa forma di capitalismo ha come principale protagonista la Cina e possiede alcune particolarità che la rendono, da un lato, suadente, e dall’altro molto pericolosa. In sintesi estrema: la rendono suadente la sua capacità di crescita esponenziale e quella di “aiutare” i Paesi indebitati; la rende pericolosa non solo il regime dittatoriale che la governa, ma anche l’idea del “Celeste Impero” che la sorregge “spiritualmente”.

Il partito comunista, che rimane l’unico e incontrastato dominus, è la “mano visibile” che orienta e frena quella “invisibile” del mercato perché custode, il partito, della civiltà millenaria cinese. Solo così, infatti, il “Celeste Impero” potrà ancora sopravvivere e mantenersi nei secoli. Su questo spirito, enunciato a chiare lettere dai massimi mandarini della Repubblica popolare, si fonda, appunto, la pianificazione economica, anche internazionale, del partito. Pianificazione che non ha la fretta di realizzarsi tipica del capitalismo occidentale, ma ha l’attitudine alla lentezza dell’attesa.

Ecco perché la questione degli eurobond ha valenza strategica sovraeuropea, andando al di là, molto al di là dei numeri e divenendo questione di “sicurezza nazionale”. Il debito europeo potrebbe infatti essere la prima grande crepa, il tallone d’Achille dell’Unione. In altre parole, accendere debito per centinaia e centinaia di miliardi, come richiede l’Italia, potrebbe trasformarsi in un boomerang per l’autonomia economica dell’Unione stessa e dei singoli Paesi. Guardando la questione da questa prospettiva, il diniego dei Paesi del nord, allora, non è affatto una punizione all’Italia spendacciona o una maniera egoistica di fare politica a danno dei Paesi più indebitati, ma una forma di protezione dell’Unione e perfino di protezione indiretta della nostra economia. Una sorta di decisione politica di “sicurezza nazionale”.

In politica occorre lungimiranza, altrimenti, mentre l’Impero Celeste attende, noi ci scaviamo la fossa. E il Governo in carica ha la vanga in mano e già qualche stilla di sudore sulla fronte.

agiovannini.it

Aggiornato il 07 aprile 2020 alle ore 11:51