La cultura del sospetto quando non la criminalizzazione di coloro che partecipano agli appalti per le opere pubbliche sono stati negli ultimi trenta anni uno dei fattori determinanti a determinare quel terrore nei funzionari della pubblica amministrazione che hanno portato all’attuale paralisi, “ben prima della crisi determinata dalla pandemia di Covid-19”. Ad esserne più che convinto è vicepresidente dell’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, Edoardo Bianchi, che in questa intervista per L’Opinione spiega cosa non va – quasi tutto – nell’attuale situazione.

Vicepresidente Bianchi come si è arrivati a questo punto quasi di non ritorno?

Le politiche degli ultimi anni in particolare, sono state tutte di fatto improntate in maniera miope alla liquidazione di questo strategico comparto. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, la più macroscopica è la completa assenza di manutenzione e messa in sicurezza del patrimonio esistente, scuole, ospedali, case, carceri, opere idrauliche, viadotti, gallerie, strade, opere di mitigazione ambientale. Tutto il patrimonio realizzato a partire dal Dopoguerra è entrato in crisi sia per la età sia per la assenza di manutenzione e programmazione. Tutto è ora reso più drammatico dalla pandemia in corso.

Cosa non ha funzionato?

La cultura del sospetto, ad esempio, che ha immobilizzato le mani che tengono le penne degli amministratori pubblici che devono porre la loro firma per sbloccare un qualsivoglia appalto. C’è stata una inaccettabile criminalizzazione del settore appalti pubblici. Fino ad oggi ha prevalso l’idea che la miglior spesa pubblica sia quella che non si fa, in nome di una austerità di facciata, con ciò penalizzando gli investimenti. E senza però aver prestato attenzione al continuo aumento della spesa in conto corrente. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un atteggiamento attendista governato sempre dal “parliamone dopo”, ma a forza di parlarne dopo sono arrivati 15 anni caratterizzati da fallimenti e disastri. Per far ripartire il Paese, quando sarà cessata la emergenza Covid-19, devono essere però chiare sin da oggi le risorse e le regole su cui si può fare affidamento.

Esiste una ricetta per ripartire?

L’unica strada è quella tracciata magistralmente da Mario Draghi: servono liquidità e garanzie. È inoltre essenziale il ruolo delle banche, che erogheranno credito solo se supportate rispetto al possibile aumento dei crediti deteriorati. È essenziale il ruolo dello Stato nell’immettere massiccia liquidità (italiana-europea) sul mercato e nell’offrire garanzie agli istituti di credito.

Allora siamo già un pezzo avanti, o no?

Non sono ottimista perché con l’attuale trend di richieste degli ammortizzatori sociali tra qualche mese le disponibilità messe in campo saranno consumate e non si potrà più dare supporto a chi è rimasto senza lavoro. Poi sul versante delle regole è francamente inaccettabile l’atteggiamento riservato al mondo dei lavori pubblici. Da anni gli “stakeholders” del settore vengono consultati e sistematicamente le nostre partecipazioni e i nostri contributi vengono mortificati e ridotti a livello di una passerella da avanspettacolo.

E allora?

Non esistono Deus ex machina. Io noto che le nostre proposte articolate, in linea con la complessità della situazione, vengono poi sempre ricondotte ad una progressiva scrematura fino alla richiesta finale di presentare al massimo due o tre punti essenziali.

Perché?

Perché – ci viene detto – “non vi è più spazio in questo provvedimento ma ve ne sarà nel prossimo (provvedimento) di imminente adozione”. Si va avanti così da decenni. È ora di dire basta.

Che dire delle leggi del settore?

Non sono scritte bene ed è un eufemismo. Ci sono vere e proprie metastasi, individuabili nella promulgazione di norme che necessitano sempre di una copiosa messe di provvedimenti attuativi a valle. Che poi invece sono sempre disattesi o adempiuti in tempi inaccettabili per la settima economia del mondo.

Cioè?

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla emanazione a getto continuo di decreti legge che tra il momento del loro concepimento ed il momento della loro conversione abbracciano un arco temporale non inferiore a 90 giorni. Vi è una rincorsa, da parte di tutti gli interessati, a proporre modifiche e integrazioni per rendere il provvedimento maggiormente aderente alle necessità quotidiane, quasi sempre sconosciute al legislatore che vive in un empireo dorato. Negli ultimi 18 mesi siamo passati attraverso i seguenti (solo i maggiori) decreti legge: Semplificazioni, Crescita, Sblocca cantieri, Cura Italia. Così non si può andare più avanti.

Aggiornato il 06 aprile 2020 alle ore 13:16