La Germania ci vuole “kappaò” sui mercati finanziari?

venerdì 3 aprile 2020


La banca tedesca Commerzbank avrebbe invitato gli investitori a disfarsi dei Titoli di Stato italiani, in particolare quelli di lungo periodo. La questione è seria e va presa con le pinze.

Una premessa: dell’attuale Germania pensiamo tutto il male possibile. È cosa nota. Tuttavia, data la gravità della notizia bisogna essere cauti. In primo luogo, si deve accertare se l’informazione corrisponda a verità o sia una “bufala”. La fonte. Tutti i giornali ne hanno parlato ieri citando un post del viceministro allo Sviluppo economico, il grillino Stefano Buffagni. Il post esiste. Oltre al commento, reca lo screenshot di un comunicato dal titolo inequivocabile: “Attacco all’Italia”. Dal testo, si evince una frase cerchiata in giallo: “Recomends investors close long positions in Italian bonds”. A dirlo sarebbe stato Michael Leister, responsabile Strategia tassi della Commerzbank prevedendo un quasi inevitabile declassamento di rating dei Titoli italiani a “junk”, spazzatura.

Il documento sarebbe stato reso pubblico da un lancio d’agenzia di Bloomberg. Ma il condizionale è d’obbligo. Perciò ribadiamo la domanda: la notizia è vera? A riguardo vi sono forti perplessità. Benché di grande impatto sui mercati, la comunicazione non appare sul sito di Bloomberg di ieri tra gli articoli dell’homepage, né nel sottopancia con le news e neanche tra gli articoli più letti. Il che appare quanto meno sospetto. Ma, ammettiamo pure che sia vera. Se il consiglio di disfarsi dei Titoli italiani a lunga scadenza fosse venuta fuori da un’analisi tecnica sui rischi di mercato, non sarebbe una circostanza così scandalosa. Una società privata ha tutto il diritto di sviluppare le proprie previsioni e di orientare i clienti come meglio crede. Spetta poi a questi ultimi valutare se dare o no credito all’informazione. Il ragionamento sviluppato dagli analisti della Commerzbank, nelle condizioni date, è comprensibile nella sua crudezza. Dovendo consigliare investimenti sicuri ai propri clienti, la certezza che il rapporto Debito/Pil in Italia sia destinato a schizzare in alto fino al 150 per cento entro il 2020 per effetto dei danni all’economia causati dalla pandemia giustificherebbe la previsione sul downgrade.

Altro scenario, invece, si rappresenterebbe se l’analisi tecnica di Michael Leister fosse stata condivisa o, peggio, sollecitata dalle autorità bancarie centrali o governative tedesche. Non sarebbe la prima volta per la Germania di entrare a gamba tesa nelle vicende italiane. C’è il gravissimo precedente del 2011 quando un ordine impartito in sede governativa da Berlino circa la vendita in blocco dei Titoli italiani in pancia alle banche tedesche diede il via alla speculazione sui nostri Titoli di Stato. Quella pugnalata alla schiena determinò l’impazzimento dello spread con tutte le conseguenze che ben ricordiamo.

Ora, gli organismi di vigilanza sulle attività borsistiche e finanziarie del nostro Paese devono andare in fondo alla vicenda, indagando sul possibile ruolo avuto dalle autorità pubbliche tedesche nella previsione avanzata dalla Commerzbank. Non ci appassiona il complottismo, ma se si dovesse scoprire che ancora una volta dietro le manovre per sollecitare attacchi speculativi sui nostri Titoli di Stato vi fosse la leadership di un Paese sulla carta amico, la reazione non potrebbe che essere intenzionalmente dura. Anche perché il tutto si verificherebbe in un momento particolare nel quale la comunità italiana è impegnata a combattere una guerra contro un nemico invisibile. Non è questo il tempo dei tentennamenti. Se Berlino sta sottobanco tentando il colpaccio di far saltare i nostri conti pubblici agendo con una strategia a tenaglia: impedire, da un lato, che sia l’Unione europea attraverso l’emissione di eurobond a garantire la copertura dei costi della crisi sanitaria/economica italiana e, dall’altro, mettendo sotto stress la sostenibilità del nostro Debito con comportamenti che eccitano l’emotività dei mercati finanziari, il nostro Paese ha il dovere di difendersi.

Perché i “fratelli” germanici ci farebbero questo? Una risposta è che non abbiano smesso di puntare a fare shopping in Italia mettendo le mani, a condizioni di favore, su quel poco che è rimasto degli asset strategici del Paese. Come prima misura di difesa il Governo deve mettere in sicurezza da eventuali aggressioni i “gioielli” del sistema produttivo italiano. A cominciare dai gruppi industriali del comparto della costruzione degli apparati di difesa. Ma non ci si può limitare a questo. Come la storia insegna, contro i tedeschi non servono a nulla le linee Maginot. Se aspettiamo di vedere cosa accada, siamo già sconfitti. Adesso è il momento di passare all’attacco. Il che comporta spostare il confronto sul piano più sgradito a Berlino: quello politico. La prima linea del fronte deve salire di latitudine, fino a Bruxelles. È lì che va combattuta la madre di tutte le battaglie. Formalmente si tratterà di sfidare la Germania a costruire una nuova Europa su basi paritarie, totalmente diverse dai fondamenti incardinati all’inizio degli anni Novanta a Maastricht. Nella sostanza la posta in gioco sarà la sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale autonoma. Per un bizzarro ricorso della Storia ancora una volta i destini dell’Europa si decideranno in quel pezzetto di mondo dove da secoli le nazioni del Vecchio Continente regolano i loro conti. Valmy, Waterloo, Sedan, la Marna, le Ardenne, Aquisgrana, la linea Sigfrido. Nei tempi di pace: Maastricht, Strasburgo, Bruxelles. Nel cuore dell’Europa si è sempre combattuto e si continua a combattere, seppure con mezzi diversi e solo in apparenza meno cruenti. Con ciò smentendo la vacua propaganda pacifista per la quale: “In una guerra perdono tutti”. Non è vero, perché se lo fosse da secoli gli europei avrebbero smesso di combattersi.

Perché lo diciamo? Siamo preoccupati del fatto che un Governo tanto debole e disorientato qual è il Conte bis non abbia sufficiente contezza del quadro politico che si va riconfigurando a seguito dell’evento straordinario del Coronavirus. Nelle sciagure ognuno pensa a se e si preoccupa di come sfruttare la debolezza del vicino. Si prenda il caso della Spagna. Oggi le autorità di Madrid prendono a esempio l’approccio italiano alla lotta al virus e ci indicano come fratelli nella sventura perché contano le migliaia di morti in casa loro. Ma quando all’inizio dell’epidemia sembrava che il problema fosse solo italiano quegli stessi spagnoli non si sono fatti scrupolo di aggredirci con campagne mediatiche mirate a portarci via la clientela turistica. Idem la Francia. Quella pizza italiana condita con uno sputo di Coronavirus ci è rimasta impressa a fuoco nella memoria. Come il settimanale tedesco “Der Spiegel” che, nel 1997, mise in copertina un abbondante piatto di spaghetti sovrastati da una pistola. Al titolo: “Il Paese della vacanze” faceva da contrappunto lo strillo di copertina, una banda diagonale tricolore con la scritta: “Sequestro, scippo, estorsione”. Non ne facciamo un dramma. Al contrario, riteniamo che siano ordinarie modalità d’ingaggio, ammesse in una disputa tra nemici che restano tali anche quando si raccontano di essere fratelli. Ciò che conta è esserne consapevoli e comportarsi di conseguenza. Se si gioca una partita di football americano, si va in campo col casco, il paradenti e la maglia imbottita per attutire i placcaggi, non con la gonnellina e le scarpette da tennis.

Per troppo tempo abbiamo usato gli scarpini da ballo mentre gli altri indossavano gli scarponi chiodati. Se fosse vero quello che ha denunciato il viceministro Buffagni e si accertasse la presenza della longa manus del Governo di Berlino, rivedere il guardaroba per gli incontri con i rappresentanti tedeschi non sarebbe una concessione alla vanità ma un obbligo morale, oltre che un dovere verso il Paese.


di Cristofaro Sola