Per noi il cigno nero è la fuga dal rischio

Ieri è stata la giornata più nera per la Borsa italiana. Piazza Affari, malgrado i crolli degli ultimi giorni, ha chiuso con una perdita che ha sfiorato il 17 per cento, nettamente la peggiore in Europa. Una roba che non si era mai vista prima e che, oltre al Coronavirus e alla decisione statunitense di bloccare i voli dal Vecchio Continente, è stata innescata dalla delusione dei mercati per le misure annunciate dal presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, considerate insufficienti, e le sue incaute dichiarazioni in merito alla tenuta dei singoli debiti sovrani. "Non siamo qui per ridurre gli spread, non è la funzione della Bce", ha affermato la stessa Lagarde, rispondendo a una domanda sul premio di rischio in forte ascesa in alcuni Paesi dell'Eurozona a partire dall'Italia.

Tant’è che in chiusura lo spread sul nostro decennale superava di oltre 14 punti quello greco – 260,2 contro 246 – avendo ampiamente superato nel corso della giornata i 270 punti.

Ora, al di là della gaffe del capo della Bce, la drammatica situazione innescata dal coronavirus, i cui rischi, da quel che si legge sui social, non sono stati ancora compresi a fondo da tanti individui, sta mettendo in estrema evidenza le grandi fragilità economiche e finanziarie dell’Italia.

In estrema sintesi, da questo punto di vista si sta materializzando ciò che avevo già paventato tempo addietro in un paio di articoli: la fuga dal rischio. Fuga dal rischio nei confronti dei titoli del nostro debito sovrano che, in sostanza, potrebbe rappresentare per noi il vero cigno nero.

D’altro canto, così come insieme ad altri più autorevoli osservatori mi trovo a dire e a scrivere da almeno trent’anni, la cronica mancanza di una accettabile disciplina di bilancio della politica italiana, inevitabile emanazione di una società che sembra aver perso l’equilibrio tra diritti e doveri, ci rende sempre più vulnerabili ogniqualvolta si materializzi un qualche shock esterno.

Dopo aver mandato in fumo la grande e forse irripetibile occasione di rimetterci veramente in carreggiata una volta entrati nella moneta unica, la quale ci ha permesso di dilapidare in spesa corrente una cifra enorme, abbiamo continuato a scialacquare ingenti risorse nella ricerca del consenso, anziché concentrarci sugli elementi che più di altri mettevano a rischio la tenuta del debito medesimo. Ossia la bassa crescita e l’eccesso della medesima spesa corrente, con l’inevitabile conseguenza di una tassazione esagerata. Da questo punto di vista la politica dei bonus, il reddito di cittadinanza e quota 100 rappresentano solo gli ultimi capitoli di una lunga sequenza di errori strategici, unicamente finalizzati a prendere più voti.

A questo punto la vicenda del coronavirus, sempreché si risolva presto e senza conseguenze irreparabili, potrebbe rappresentare una ulteriore occasione per ripensare integralmente la finanza pubblica e il ruolo dello Stato nell’economia. A cominciare dalla necessità di rendere sostenibile un sistema pubblico, con un welfare che costa troppo e che privilegia le pensioni a scapito, ad esempio, delle strutture tecnico-sanitarie. Un sistema pubblico il quale ad ogni tempesta mostra inesorabilmente le sue enormi falle.

Aggiornato il 13 marzo 2020 alle ore 13:20