Dopo il coronavirus è in arrivo un’altra tempesta

martedì 3 marzo 2020


La crisi del coronavirus - secondo gli economisti- rischia di avvicinare l’arrivo di un’altra tempesta finanziaria ed economica, già da tempo prevista (quella dell’aumento mondiale dei tassi di interessi). L’Italia ne sarà colpita, ma il governo italiano mostra di affrontare le tempeste attuali e quelle in arrivo solo con misure congiunturali e non strutturali. Anche alcuni oppositori si limitano a criticarlo solo per la pochezza dei sussidi ai danneggiati dall’epidemia e non anche per l’assenza di un programma che cominci a risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana.

Certo che sono pochi 3,6 miliardi! Ma che senso ha criticare il governo per la pochezza dei risarcimenti già erogati ai danneggiati dal coronavirus? Qualunque governo avrebbe fatto più o meno la stessa cosa, con le restrizioni imposte dagli obblighi e dai limiti dell’Ue liberamente assunti con gli altri soci dell’area dell’euro. Ha poco senso poi accusare il governo di lesinare, dato che ogni governo è felice di spendere soldi pubblici per elargire benefici e acquisire consensi se gli è consentito. Tanto a pagare saranno i contribuenti e le future generazioni, e cioè anche gli elettori non ancora nati. E, infatti, se l’Ue concederà ancora più flessibilità il governo italiano non mancherà di elargire altri risarcimenti. E Giuseppe Conte e compagni avranno la faccia di tolla da esultare in televisione, vantandosi per una supposta “vittoria” sui cattivi europei fautori della deprecata austerità. Come se non sapessero che quelle restrizioni non sono dovute all’iniquità dell’Europa, ma all’enormità del debito pubblico italiano! Come se non sapessero che quelle ulteriori erogazioni (certo necessarie) fossero un regalo di Bruxelles e non andassero a rimpolpare il già esorbitante debito pubblico italiano! Come se non sapessero che ogni ulteriore erogazione sia un onere che un giorno gli italiani di oggi, e soprattutto quelli di domani e dopodomani (i nostri figli e nipoti) dovranno ripagare! Sono quelle ignobili sceneggiate (del tipo “Evviva! abbiamo strappato più flessibilità all’Europa!”) che ci dovrebbero irritare e indignare perché rivelano una vecchia (e bipartizan) rimozione della vera origine (il debito pubblico) delle restrizioni dei governi italiani anche in caso di calamità come un’epidemia. Si tratta anche di una rimozione delle vere cause della recessione di fatto già in corso nell’economia italiana e che il coronavirus non crea, ma aggrava.

No. Il governo giallo-rosso deve essere, invece, criticato soprattutto perché sta rimuovendo le vere cause della recessione e sta nascondendo la sua inadeguatezza costitutiva ad affrontarle. Sta, infatti, cercando di fare passare misure congiunturali e di routine per misure “risolutive” e addirittura per una “terapia d’urto”, il che è francamente ridicolo. Il governo attuale è, per la sua stessa natura e costituzione, incapace persino di concepire un programma che includa le necessarie riforme strutturali (pubblica amministrazione, giustizia, fisco, scuola) e un altrettanto necessario risanamento strutturale dei conti pubblici italiani.

Sono invece queste le mancanze che hanno prima rallentato e poi provocato la recessione dell’economia italiana già registrata per il 4/o trimestre del 2019, quando si è segnato un -0,3% rispetto al trimestre precedente. Una recessione - ripetiamolo- che il coronavirus non ha creato, ma ha aggravato, mettendo allo scoperto le carenze strutturali italiane e persino la scarsezza di risorse per fare fronte con adeguati risarcimenti ai cittadini danneggiati.

Certo nemmeno il governo Conte-Gualtieri è responsabile della recessione registrata alla fine del 2019 e delle ristrettezze finanziarie. Ben più antiche ed anzi cinquantennali sono quelle responsabilità.

Tuttavia, innanzitutto deve essere tenuto per responsabile del suo aggravamento dato che è molto probabile (anche se non ancora provato) che la dissennata e spettacolare decisione di bloccare i voli diretti dalla Cina a fine gennaio abbia provocato l’introduzione in Italia del virus portato dall’introvabile “paziente zero” (cinese o no) probabilmente arrivato dalla Cina in Italia con un volo indiretto, come era prevedibile ed era stato previsto dai virologi; una decisione demenziale a cui è seguita la caotica gestione dell’epidemia che ha fatto dell’Italia il malato d’Europa.

Quel governo si sta dimostrando incapace di affrontare alla radice i mali dell’economia italiana che sono insieme sia congiunturali, sia strutturali per cui vanno affrontati non con i pannicelli caldi, ma con misure sia congiunturali, sia strutturali.

C’è poi una ragione importante che rende oggi il risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali particolarmente necessari ed urgenti ed è che la crisi del coronavirus non può che avvicinare un’altra tempesta da tempo prevista dagli economisti e che ormai si profila all’orizzonte: quella della fine del lungo periodo favorevole dei bassi tassi di interesse e di liquidità abbondante garantita finora dalle Banche centrali sia americana, sia europea. Un periodo di bel tempo di cui tutti i governanti italiani (di destra e di sinistra) non hanno approfittato per riparare le falle della nave-Italia. Non sa esattamente con precisione quando, ma la nuova tempesta dei tassi di interesse prima o poi arriverà. E allora la nave-Italia rischierà una crisi finanziaria innescata da un’impennata dello spread simile a quella del 2011. Cosa prevedono infatti gli economisti?

In breve: finora i tassi di interesse sono stati tenuti artificialmente bassi (addirittura a livello attorno a zero) dalle Banche centrali americana ed europea e ciò ha consentito agli stati di finanziarsi a buon mercato. Le stesse Banche centrali negli ultimi anni hanno anche stampato moneta in quantità enormi (più che quadruplicando la “base monetaria”). La Bce di Mario Draghi lo ha fatto (con il voto costantemente contrario dei tedeschi) soprattutto il famoso Quantitative Easing (QE), ha cioè comprato titoli di stato di paesi indebitati, tenendo bassi i loro tassi di interesse. Contemporaneamente, le Banche Centrali, per evitare l’inflazione da eccesso di liquidità, hanno obbligato le banche a rimpolpare notevolmente il proprio capitale e a restringere quindi il credito con effetti di contenimento dell’inflazione (anche se a spese della crescita). A evitare l’inflazione ha contribuito anche la globalizzazione che, con l’apertura ai prodotti asiatici, ha tenuto bassi i prezzi mondiali.

 Ebbene questa situazione di “tempo bello” apparentemente stabile è destinata - secondo tutti gli economisti -  prima o poi, a finire. Non si sa quando, ma sembra certo che, prima o poi, per l’enorme massa di danaro in circolazione, e per la fine della fase ruggente della globalizzazione cominceranno in Europa delle tensioni inflazionistiche (cioé i prezzi aumenteranno). La politica dei dazi di Trump ed il coronavirus sono due drammatiche battute di arresto che significano anche un avvicinamento di alti prezzi ed alti tassi di interesse. A quel punto la Banca centrale europea smetterà di creare liquidità, di stampare moneta e di acquistare titoli di stato. Comincerà, anzi, invece a venderli riassorbendo la moneta circolante senza reimmetterla in circolazione. Anche i grandi gruppi finanziari cominceranno a vendere i titoli di degli stati indebitati e si sposteranno su quelli che lo sono meno.

A quel punto i tassi di interesse aumenteranno sempre più, rendendo sempre più pesante il debito pubblico degli stati. I “mercati” cominceranno allora nuovamente a nutrire dubbi sulla sostenibilità del debito italiano e il cosiddetto “spread” (differenza tra i tassi dei titoli italiani e tedeschi) raggiungerà nuove vette. Vi saranno allora tutte le condizioni perché si ricrei la situazione del 2011. E qualcuno (un nuovo governo tecnico?) dovrà provvedere a rimettere i conti italiani in ordine con una nuova cura da cavallo.

La lezione degli economisti è che vie d’uscita indolori alla crisi economica italiana non esistono: per esempio uscire dall’euro e tornare alla lira significherebbe iperinflazione e ipersvalutazione della stessa lira (che diverrebbe all’incirca carta straccia) e provocherebbe perciò una drastica riduzione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni; così pure ridurre drasticamente le tasse in deficit (cioé senza tagliare le spese) farebbe immediatamente crollare le entrate, aumentare rapidamente il debito e il famoso spread molto prima che si verifichino aumenti sensibili degli investimenti privati.

Alcune sirene (di sinistra e di destra) dicono: “Il debito non è un problema importante. L’importante è che sia sostenibile”. Un’altra formula magica, una vera bufala che, tra l’altro, nasconde il fatto che i mercati, cioè gli investitori internazionali  dubitano proprio che il debito italiano sia sostenibile e per questo pende sull’Italia la spada di Damocle dello spread. Lo stesso Fondo monetario ritiene ufficialmente “insostenibile” un debito pubblico superiore al 120% del Pil.

Gli italiani dovrebbero, invece di affidarsi a certe sirene che affermano di possedere le formule e le ricette per un’uscita indolore dalla crisi, rivendicare da tutte le forze politiche di destra e di sinistra, di governo e di opposizione, l’immediata attuazione di quelle riforme e di quelle riduzioni graduali della spesa (e delle tasse) finalizzate ad elevare la competitività e l’efficienza del sistema Italia. Non basta infatti - secondo la maggior parte degli economisti un congelamento e una riqualificazione della spesa pubblica, ma sono necessari veri e propri tagli a cominciare dalle spese della pubblica amministrazione a produttività negativa e nulla. Secondo Carlo Cottarelli sarebbe necessario realizzare consistenti “avanzi primari” di bilancio (al netto degli interessi per almeno 10 anni.  Certo è più facile a dirsi che a farsi. Per farlo la nave-Italia dovrebbe tenere la barra del timone ferma in quella direzione per almeno 10 anni. Il Belgio lo ha fatto per ben 14 anni, a partire dal 1994, con avanzi primari di quasi il 5% e si è risollevato riducendo il suo debito dal 134% al 50% del Pil. L’attuale governo italiano - secondo Cottarelli -  ha ridotto con la sua manovra di fine anno l’avanzo primario dall’1,3% all’1,1, riducendo le “munizioni” a disposizione per ridurre il debito e per fare fronte alle crisi impreviste, che nell’attuale epoca globalizzata devono forse considerarsi ricorrenti.

Si pone, però, allora una domanda: è la democrazia italiana in grado di produrre una classe dirigente (“bipartizan”) in grado di seguire con costanza e al di là di alternanze al governo, un percorso almeno decennale di risanamento e rilancio, in nome dell’interesse nazionale,  resistendo alle tentazioni di spendere per acquisire consensi e imponendosi alle prevedibili reazioni delle corporazioni e delle caste privilegiate (soprattutto grandi burocrati e magistrati) che se ne sentirebbero colpite? Un grande ostacolo attuale è costituito dalla lunga fase di antipolitica e di cessione del potere politico alla burocrazia ed alla magistratura politicizzata; una fase culminata nel successo elettorale di una forza populista e giustizialista come quella dei 5 stelle.

Ma l’alternativa a quell’ipotesi sarebbe l’avvento di un governo tecnico che aggiusti temporaneamente i conti, come è successo più volte in passato in Italia dove ricorrentemente a governi che dilapidano seguono governi tecnici che momentaneamente risanano i conti. E poi la dinamica si ripete più o meno uguale.

Tuttavia c’è un limite all’aumento del debito ed al ritorno senza fine dell’eguale e del già visto. Oltre quel limite c’è la bancarotta dello Stato. Lo dimostra non solo il caso della Grecia. Ma anche quelli dell’Argentina e del Venezuela. Non so se sia chiaro a tutti.


di Lucio Leante