Cos’è il neoliberismo?

In un mondo in cui praticamente ogni aspetto dell’agire umano è dominato dall’intervento politico, anche il linguaggio viene sottoposto a controlli e modifiche per rimodellare la società. Del resto come si cambia il modo di pensare delle persone? Cominciando a cambiare le parole che usano. In questa pratica di manipolazione eccellono i commentatori di sinistra che cooptano alcuni termini per degradarli e trasformarli in ciò che meglio si adatta alla narrativa politica del momento. Si arriva così a capovolgimenti di tipo orwelliano del tipo “la guerra è pace”, “la libertà è schiavitù”.

Un termine una volta positivo che ha subito tale capovolgimento è “Neoliberismo”, oggi sistematicamente usato per designare in senso peggiorativo la causa di tutto ciò che è negativo nella vita economica contemporanea, diseguaglianze, disoccupazione, austerità, inquinamento, corruzione e così via. Ecco, ad esempio, come titolo e sottotitolo di un articolo del Guardian di qualche tempo fa ridefinivano il termine: “Neoliberismo: l’ideologia alla base di tutti i nostri problemi. Crollo finanziario, disastro ambientale e persino l’ascesa di Donald Trump - il neoliberismo ha avuto un ruolo in tutto questo. Perché la sinistra non è riuscita a trovare un’alternativa?”

Anche Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, ha scritto di recente un articolo sul neoliberismo (La fine del Neoliberismo e la Rinascita della Storia, Project Syndicate, 4 novembre 2019). Sintetizzando, Stiglitz sostiene che dopo la caduta del comunismo e quindi dell’ultimo ostacolo alle democrazie liberali e al libero mercato (“la fine della storia”, secondo il famoso saggio di Francis Fukuyama), la dottrina economica neoliberista che ha prevalso negli ultimi decenni si è a tal punto rafforzata da minare la democrazia. Infatti, le politiche neoliberali che secondo le élite politiche avrebbero dovuto portato a una crescita economica più rapida con benefici per tutti, sono state un grande inganno. L’ortodossia neoliberista ha creato crisi finanziarie, stagnazione, corruzione. L’unica strada da percorrere, l’unico modo per salvare la nostra civiltà, è una rinascita della storia attualizzando l’Illuminismo, i suoi valori di libertà, il rispetto per la conoscenza e la democrazia. Dunque, anche per il Nobel dell’economia tutti i mali della società sarebbero ascrivibili al neoliberismo, termine di cui si guarda bene dal chiarire il significato perché se lo avesse fatto, la sua argomentazione, già molto vaga e superficiale, non avrebbe alcun senso.

Innanzitutto il prefisso “neo” della parola fa ovviamente riferimento a un revival di quel sistema di società economica del passato, il liberismo, che operava con minime interferenze statali e che per tale motivo è stato sempre inviso ai pensatori di sinistra. Ora Stiglitz, che alla fine dell’articolo invoca il ritorno dell’illuminismo, avrebbe dovuto ricordarsi che fu proprio questo movimento a produrre la dottrina del liberalismo che cominciò a manifestarsi nell’Inghilterra del XVII secolo. Mentre per l’assolutismo monarchico lo Stato era il motore della società con l’ultima parola sulla vita religiosa, culturale e economica dei sudditi, i filosofi liberali proponevano la visione opposta di un ordine sociale basato sulla libertà, la proprietà privata e lo scambio volontario che i governi non dovevano violare. Il movimento si sviluppò e divenne pratica nel XIX secolo segnando un’epoca di eccezionale crescita in Europa e in America del Nord. È impensabile lo sviluppo della moderna civiltà occidentale e lo sviluppo della classe media senza il liberalismo soprattutto in opposizione ai regimi autocratici della società orientale che condannarono le masse alla povertà.

Il liberalismo fu un fenomeno transeunte che però dalla fine delle guerre napoleoniche fino all’inizio della Grande Guerra portò a una pace generale. Libero scambio, viaggi senza passaporto, senza dogane, con stabilità politica e progressi materiali senza precedenti. Purtroppo tutto questo fu interrotto dopo il 1914 quando i disegni imperialisti delle Grandi Potenze si unirono alle emergenti forze ideologiche del nazionalismo e del socialismo. Con lo scoppio delle ostilità, il sistema liberale di libertà individuale, la proprietà privata, la libera impresa, il libero scambio, il governo limitato, le tasse basse e la moneta stabile furono gettati al vento. Il conflitto cambiò radicalmente il mondo inaugurando l’era dello stato interventista, regolatore, redistributore e fonte di provvidenza universale, quello stato sociale, appunto, incompatibile con qualsiasi revival di liberismo.

Dopo il 1914, infatti, il mondo è stato dominato dall’interventismo sotto vari nomi: socialismo, nazionalsocialismo, fascismo, maoismo, laburismo, riformismo. Dopo il secondo conflitto mondiale ci fu un breve interludio liberista giusto il tempo per lasciare al libero mercato il compito di ricostruire in fretta le economie distrutte. Ma subito dopo riprese l’ondata interventista che ci ha sommerso fino ai nostri giorni.

Il concetto di Neoliberismo nacque negli anni Trenta da un gruppo di economisti che volevano controbilanciare le tendenze collettiviste dell’epoca e preservare quanto era essenziale al funzionamento del mercato libero combinandolo con le esigenze dello Stato interventista-assistenziale. Era però un tentativo di quadratura del cerchio e fallì dando luogo a un’economia mista con tendenze totalitarie, assolutamente incompatibile con qualsiasi tipo di liberalismo. Non c’è infatti modo di conciliare la libertà, indissolubilmente legata alla salute finanziaria dello Stato, con una visione stato-centrica della società dove i governi estraggono quanta più ricchezza possibile dalle tasche dei cittadini e provocano una crisi dopo l’altra. Le crisi dei debiti sovrani sono nate con i governi statalisti non con quelli liberali. Com’è dunque possibile chiamare “neoliberali” regimi dove la spesa pubblica è metà del prodotto lordo, dove i debiti pubblici di una generazione vengono trasferiti a generazioni future, dove i salvataggi economici, finanziari e bancari vengono finanziati sottraendo i soldi ai contribuenti e rigirandoli ai dissestatori economici e finanziari? Ci vogliono proprio facce toste da Nobel per sostenere che tutto questo è conseguenza di un nuovo liberalismo.

Aggiornato il 22 novembre 2019 alle ore 12:33