Espansionismo e Logistica

Prima dell’Impero romano la cultura espansionista era quasi inesistente; in fondo il potere si limitava al controllo limitato di territori e, nella maggior parte dei casi, si caratterizzava come un presidio militare. I romani invece riescono a raggiungere dimensioni espansionistiche imprevedibili e, addirittura, tentano di raggiungere anche i territori più orientali del sistema euroasiatico all’epoca conosciuto. Poi, dopo i romani, si sono susseguite tante altre esperienze, tanti altri espansionismi che, nella maggior parte dei casi, hanno avuto solo e, soprattutto, l’obiettivo non solo del recupero e del controllo di mercati, dell’arricchimento e dello sfruttamento di ricchezze naturali, ma in particolare del controllo politico e strategico di vaste aree territoriali. Fin qui una banale analisi delle evoluzioni storiche; una analisi che, anche se spesso vestita dalla esigenza di riportare in determinate aree i concetti base della democrazia, in realtà ha sempre avuto come riferimento portante l’interesse espansionistico.

Poi ci sono due tentativi di espansione dell’Europa verso l’est e dell’area orientale verso il sistema europeo, verso il Mediterraneo. Sono due tentativi che, per quanto riporterò dopo, non si configurano come azioni espansionistiche, ma come ottimizzazione dei processi logistici e, quindi, come condizione per far crescere le reciproche convenienze.

Henning Christophersen nel 1994, nel suo ruolo di Commissario europeo propone il primo Piano strategico delle Reti Ten (Transport European Network) e, in particolare, sempre nel 1994 ad Atene presenta il Masterplan Paneuropeo ricco di assi che collegavano le reti viarie, ferroviarie e i nodi del sistema comunitario con i Paesi dell’Est fino a Kiev e fino ai Paesi balcanici.

Nel 2005 la Commissaria della Unione europea Loyola de Palacio, a valle del Piano delle Reti Ten-T, sempre attraverso un gruppo ad alto livello di delegati dei 28 Paesi della Unione, redige un Piano che affronta tutte le reti ed i nodi che fanno da contorno al sistema delle Reti Ten e definisce appositi interventi nell’area settentrionale del continente africano, nella vasta area asiatica-mediorientale e nell’area orientale dell’Europa (Turchia, Georgia, Azerbaijan Armenia, Iran).

Nel 2008 la Cina redige un Piano strategico che identifica due assi, uno terrestre ed uno marittimo, capaci di rendere funzionali ed efficienti le interazioni tra due aree produttive, quella europea e quella asiatica, questa ultima con elevata capacità logistica (le prime aziende di trasporto container al mondo sono cinesi) e con grande disponibilità agli scambi. Il progetto, One Belt One Road terrestre va ben oltre, attraversa tutta l’Asia Centrale e arriva dalla Cina fino alla Spagna: con le infrastrutture esistenti sono già stati inaugurati i collegamenti merci diretti fino ad Amburgo, Berlino, Mortara e Madrid. La Via Marittima costeggia tutta l’Asia Orientale e Meridionale, arrivando fino al Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Questo vasto programma di interventi, questo interessante disegno strategico planetario non contiene, secondo mia attenta analisi, aspirazioni espansionistiche, non le contiene come d’altra parte non erano presenti neppure nelle intuizioni strategiche di Christophersen e di Loyola de Palacio. L’unica preoccupazione su un possibile dominio dei mercati sta nel fatto che mentre i Piani concepiti dalla Unione europea erano supportati da studi e da programmi quello cinese era ed è invece supportato dalla costituenda Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture(AIIB), dotata di un capitale di 100 miliardi di dollari Usa, di cui la Cina è il principale socio, con un impegno pari a 29,8 miliardi e gli altri paesi (tra cui l’India, la Russia e l’Oceania) avrebbero altri 45 miliardi (l’Italia si è impegnata a sottoscrivere una quota di 2,5 miliardi). Addirittura nel 2014 il governo cinese ha stanziato 40 miliardi di Usd per il “Fondo Via della Seta”, che finanzierà i progetti di infrastrutture, sviluppo e cooperazione industriale tra i Paesi lungo la Via della Seta; nel 2017 Xi Jinping ha annunciato un aumento dei finanziamenti pari a 100 miliardi di RMB. In realtà a questa grande scelta della Banca cinese nel dedicare un simile volano di risorse non ha fatto seguito una analoga iniziativa da parte della Banca europea degli Investimenti (Bei) e automaticamente sono diventati punti e assi strategici per investimenti mirati i nodi logistici di Mombasa, di Damietta, l’asse autostradale Mombasa-Lagos nel continente africano ed i porti del Pireo, di Genova e di Trieste nel Mediterraneo.

Questa azione, inimmaginabile solo dieci anni fa, ci fa pensare subito ad una iniziativa negativa e pericolosa perché non abbiamo il coraggio di ammettere le miopie e le incapacità di una realtà, quella della Unione europea, che in settanta anni è riuscita ad immaginare programmi e progetti lungimiranti ma non ha mai trasformato simili intuizioni in concrete realtà progettuali, in concreti investimenti.

Non vogliamo di fatto ammettere, o meglio ci dà fastidio riconoscere che la Cina tra il 2000 e il 2010 è diventata la seconda maggior esportatrice mondiale di merci dopo la Germania. Le sue esportazioni lorde annuali, pari a circa 250 miliardi di dollari, nel 2000 sono cresciute di quasi 5 volte raggiungendo i 1.218 miliardi di dollari nel 2007. Nel 2006 importazioni ed esportazioni risultavano pari complessivamente a 2.168 miliardi di dollari, una cifra, questa, ancora al disotto del livello degli Stati Uniti, pari a 4.558 miliardi di dollari, e dell’Unione europea (escluso il commercio interno), pari a 3.644 miliardi. Tra gli analisti, tuttavia, è condivisa l’aspettativa che nel triennio 2020-2022 Pechino potrebbe sorpassare gli Stati Uniti e l’Unione europea come potenza commerciale. Nel 2004 Pechino ha rimpiazzato Washington come maggior partner commerciale del Giappone e nel 2006 la Cina è subentrata agli Stati Uniti anche come principale partner commerciale dell’Unione europea. Il volume degli scambi Ue-Cina ha raggiunto nel 2006 i 28 miliardi di dollari, facendo registrare una crescita superiore al 150 per cento tra il 2000 e il 2006.

Per capire quanto sia stata miope la nostra politica della offerta portuale all’interno di uno dei teatri commerciali più importanti del mondo come il Mediterraneo è sufficiente leggere l’elenco di seguito riportato dei primi dieci impianti portuali del mondo (su dieci sette sono cinesi):

Shanghai, China: 33.61 milioni di TEU
Singapore, Repubblica di Singapore: 32.24 milioni di TEU
Shenzhen, China: 23.28 milioni di TEU
Hong Kong, Cina: 22,35 milioni di TEU
Busan, Sud Corea: 17,70 milioni di TEU
Ningbo-Zhoushan, Cina: 17,35 milioni di TEU
Qingdao, Cina: 15,52 milioni di TEU
Guangzhou, Cina: 15,30 milioni di TEU
Jebel Ali (Dubai), Emirati Arabi: 13,64 milioni di TEU
Tianjin, Cina: 13,01 milioni di TEU

Sicuramente questa ormai irraggiungibile capacità logistica, questa capacità commerciale, questa capacità finanziaria, contengono finalità che potrebbero rivelarsi rischiose per l’intero assetto logistico e commerciale della Unione europea, tuttavia questo rischio si ridimensiona solo cercando di evitare provincialismi, cercando di evitare concorrenzialità inutili e perdenti all’interno della stessa Unione europea, evitando anche illusioni di singole portualità di diventare interlocutori unici di società di trasporto che da sole movimentano il numero di Teu movimentato nell’intero Mediterraneo, evitando di pianificare la offerta portuale ed interportuale dell’intero assetto europeo per singole realtà nazionali e in molti casi per singole realtà logistiche.

L’espansionismo economico si vince contrapponendosi e diventando interlocutori e non cercando passivamente di non essere attori preferendo, spesso, essere spettatori.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 05 novembre 2019 alle ore 17:03