Tasse ecologiche, l’ultimo rifugio delle canaglie fiscali

A stretto giro di tempo, mi vedo costretto a tornare sul pasticciaccio brutto delle cosiddette tasse ecologiche, che a quanto pare stanno diventando l’ultimo rifugio delle canaglie fiscali.

Nella fattispecie, il Governo giallo-rosso ha inserito nel Documento programmatico di bilancio una vera e propria stangata sugli imballaggi e i contenitori di plastica: ben un euro al kg in luogo dei previsti 20 centesimi. Ciò ha creato grande sconcerto tra le aziende italiane, determinando una dura presa di posizione da parte di Confindustria. Quest’ultima ha espresso “forte contrarietà per la misura, la quale non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese”.

A questo proposito, la più importante associazione imprenditoriale ricorda che attualmente “le imprese già pagano il contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per circa 450 milioni di euro, 350 dei quali vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata”.

Ora, a regime l’Esecutivo della svolta conta di incassare qualcosa come 1,4 miliardi all’anno. Una cospicua sommetta, per così dire, che aumenterà di fatto la pressione tributaria che grava sull’intero sistema economico, consentendo ai vampiri della politica di appropriarsi di ulteriori risorse da spendere nella loro “altruistica” ricerca del consenso. Ma questa volta lo possono fare dietro il paravento di una fiscalità verde che sembra mandare letteralmente in estasi i milioni di italioti gretini in servizio attivo permanente. Quelli che, tanto per intenderci, hanno preso il testimone dai cosiddetti utili idioti di qualche decennio addietro. Tutta gente sempre disponibile a bersi qualunque pozione tossica venga loro propinata dai beniamini politici di turno, purché presentata sotto l’etichetta delle buone intenzioni. E cosa c’è di più attraente fiscalmente di un balzello che punti a salvare l’ambiente dai guasti industriali del nefando capitalismo neo-liberista? In nome e per conto di una green new deal di Pulcinella, i tosatori tassaioli di professione si sono già messi al lavoro, con buona pace di chi sperava che questa volta non si sarebbe utilizzata la sinistra leva fiscale.

Ciononostante, la citata plastic tax non entrerà in vigore all’inizio del prossimo anno, bensì a partire dal primo giugno del 2020, mentre altri provvedimenti di natura fiscale sono stati ulteriormente posticipati al 2021 e, addirittura, al 2022. E tutti sono stati approvati dal Governo con la dicitura “salvo intese”.

Una tempistica e una terminologia le quali, conoscendo la coesione di una maggioranza tenuta insieme letteralmente con lo sputo, lasciano ai tartassati italiani una qualche speranza di salvezza. Staremo a vedere.

Aggiornato il 18 ottobre 2019 alle ore 10:43