75 anni di supremazia del dollaro: conseguenze e lezioni

mercoledì 24 luglio 2019


Nel mese di luglio di 75 anni fa un gruppo di 744 delegati provenienti da tutto il mondo si riuniva nel Mount Washington Hotel nel New Hampshire per costruire un nuovo sistema finanziario globale. Era il 1944 e la Seconda guerra mondiale stava ancora infuriando in Europa e nel Pacifico. Ma con il successo dell'invasione della Normandia, gli Alleati sapevano che i giorni di Hitler erano contati e avevano bisogno di iniziare a prepararsi per un mondo postbellico. Tutti sapevano che gli Stati Uniti sarebbero emersi dalla seconda guerra mondiale come la superpotenza dominante  e quindi il sistema economico finanziario che stavano per varare poneva gli Stati Uniti al centro dell'economia mondiale. Lo chiamarono il sistema di Bretton Woods, dalla cittadina del New Hampshire dove si riunirono. In primo luogo, i delegati istituirono il Fondo monetario internazionale con la missione di sovrintendere al futuro sistema di cambi fissi. Quindi  scelsero il dollaro americano come valuta principale per lo scambio internazionale fissandone il valore a 35 dollari per oncia d'oro mentre ogni altra valuta sarebbe stata ancorata al dollaro e quindi, indirettamente, convertibile in oro. Era il sistema del gold exchange standard o sistema a cambio aureo.

Complessivamente, Bretton Woods (BW) creò un regime internazionale di valuta stabile. Durante circa un quarto di secolo le crisi bancarie furono quasi inesistenti, rare le recessioni e il debito globale scese dal livello raggiunto alla fine della Seconda guerra mondiale, il 150 per cento del Pil,  al 30 per cento.

Ma nel 1971 tutto cambiò bruscamente. Cosa successe? Già all’inizio degli anni sessanta gli Stati uniti, per finanziare la guerra del Vietnam e un programma ambizioso di riforme sociali avevano aumentato la spesa pubblica in modo spropositato scatenando l’inflazione. Il prezzo dell’oro sul mercato libero superò i 35 dollari fissati a BW e a questo punto i Paesi europei che avevano accumulato un enorme quantità di dollari con l’esportazione cominciarono a chiederne la conversione nel metallo provocando una forte emorragia nelle riserve americane che da 20mila tonnellate passarono a 8mila. Per fermare l’emorragia, il presidente americano Nixon, nell’agosto del 1971, dichiarò unilateralmente l’inconvertibilità del dollaro lasciandolo fluttuare. Il sistema BW crollò, praticamente da un giorno all'altro per il deliberato default statunitense e siccome i partner non furono in grado di concordare una nuova serie di regole internazionali, emerse, senza alcun accordo formale, un sistema monetario di cambi fluttuanti, tuttora vigente che si può chiamare dollar standard, perché la valuta americana era diventata l’epicentro del sistema finanziario al posto dell’oro.

Da quel momento il governo degli Stati Uniti ebbe la flessibilità di stampare tutto il denaro necessario senza essere vincolato al sistema aureo, finanziando a costo zero enormi disavanzi delle partite correnti e pagando le importazioni dei partner commerciali con strumenti di debito invece che con oro come sarebbe stato richiesto dal sistema di BW. In tal modo, il dollar standard, da un lato, inaugurò l'era della globalizzazione consentendo al resto del mondo di vendere i propri prodotti agli Stati Uniti a credito, il che promosse nei Paesi emergenti, soprattutto in Cina, una crescita economica molto più rapida di quanto si sarebbe verificato altrimenti. D’altro lato, potendo emettere valuta non più a fronte di oro ma a fronte di debito, gli Stati Uniti inauguravano l’era delle politiche di governo espansive, della spesa incontrollata, degli squilibri globali, delle svalutazioni, nonché dei sistemi fiscali oppressivi per finanziare debiti crescenti. L'inflazione aumentò vertiginosamente producendo un nuovo fenomeno che non si era mai verificato: la stagflazione, cioè la contemporanea coesistenza di inflazione e disoccupazione. Queste nuove esperienze determinarono negli anni settanta una svolta fondamentale nella politica delle banche centrali, basata su nuove parole d’ordine: gestione della base monetaria, manovra dei tassi di interesse e stimoli economici per la stabilizzazione delle economie. L’enorme aumento delle riserve in dollari che il deficit commerciale Usa aveva fatto accumulare nelle banche dei Paesi industrializzati, ne allargarono base monetaria e creditizia con effetti inquinanti sempre più deleteri. Da quell’epoca gli shock finanziari sono diventati seriali, le recessioni un fatto ordinario e l’instabilità permanente,  fino alle attuali anomalie finanziarie più estreme che si possano immaginare, come ad es. tassi di interesse negativi.

Il sistema di Bretton Woods collassò per un motivo molto semplice: in un mondo in cui tutto cambia e fluttua non si possono fissare i valori in modo arbitrario inseguendo il mito della stabilità. Non si poteva espandere la quantità di dollari mantenendo fisso il prezzo dell’oro: il mercato doveva per forza far saltare una parità che sopravalutava il dollaro e sottovalutava il metallo. Eppure questa lezione non è stata mai imparata. Si è continuato a ripetere l’errore. Il sistema monetario europeo, detto anche Sme, entrato nel 1979 (pochi anni dopo il fallimento di BW) che fissava le parità fra le valute europee sempre per creare stabilità, collassò nel 1992, coinvolgendo la lira italiana e la sterlina britannica che furono svalutate perché sopravalutate rispetto al marco tedesco. Ancora per lo stesso motivo, nel 2015, è saltata la parità fissa tra euro e franco svizzero stabilita nel 2011. Come poteva la banca centrale svizzera continuare ad acquistare miliardi di euro a prezzo fisso mentre la banca centrale europea continuava a svalutarlo? Infine l’euro non funziona proprio perché è un sistema di cambi fissi travestito da moneta unica (in quanto non esiste un debito unico europeo).

La lezione dell’ordine mondiale post Bretton Woods è anche’essa molto semplice: l’interventismo dei governi, come quello delle politiche monetarie dirigiste, non è stato mai capace di resistere alle pressioni della realtà dei mercati. Prima o poi, sempre e dovunque, la politicizzazione dell’economia si infrange contro lo scoglio dei fatti.


di Gerardo Coco