L’Italia nel mirino dei gestori del blockchain

Nei giorni passati è stato alzato un polverone sui mini-bot. Lo si è fatto dimenticando che l’Italia è ormai una chiocciola (o tartaruga) senza guscio: vulnerabile alle tempeste organizzate dai potenti della Terra. Il problema dell’emissione di titoli è che a gestire il teatrino di chi li compra e vende è sempre la solita compagnia di giro. Il sindacato di collocamento è composto dai “soliti noti”: Bank of America, Merrill Lynch, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Hsbc, Jp Morgan e Morgan Stanley, coadiuvati dai loro strilloni S&P e Fitch e Moody’s.

Qualsiasi titolo emetta l’Italia, anche dimostrando una concreta riduzione del debito pubblico e privato, comunque otterrebbe il “non investment grade” da Standard and Poor’s e Fitch e Moody’s. Questo è il vero motivo che ha spinto il leghista Giancarlo Giorgetti a chiedere la non emissione dei minibot. Questi problemi li ha creati la globalizzazione, conseguentemente leggi adottate dai singoli stati, e poiché imposte da organismi internazionali e strutture di potere sovranazionali. Di fatto, le leggi che oggi adottano tutti gli Stati in materia manifatturiera e commerciale (l’Italia è esempio magniloquente) derivano da accordi di cartello tra poteri bancari e multinazionali (chimico-farmaceutiche, agroalimentari, finanziarie, social network, energetiche e di security). Obiettivo di questi accordi è sostituire il controllo statuale con agenzie sovranazionali partecipate da corporate, major e “poteri bancari”. Perché questo possa realizzarsi vengono (con norme partorite da Ue, Bce, Fmi) sottratti i poteri di controllo sanitari, bancari, manifatturieri e commerciali e affidati ad agenzie partecipate da organismi dell’Ue come da strutture di Paesi extraUe ma aderenti all’accordo Ceta (trattato internazionale ispirato dal Canada).

Obiettivo prossimo è la profilazione totale del cittadino attraverso la sua corrispondenza tradizionale (posta e raccomandata) e via mail, attraverso il controllo continuo della sua spesa giornaliera, attraverso l’indirizzo costante dei suoi consumi e risparmi: il passaggio è far sì che i governi accettino il blockchain come struttura dati condivisa e immutabile. Ovvero un registro digitale che permetta, a strutture sovranazionali, il controllo di ogni cittadino del mondo che possa in qualche modo possedere moneta, produrre reddito. È credibile che da questo giogo possano affrancarsi solo gli aborigeni tribali e gli eschimesi: a queste società verrebbe concesso rimanere al baratto.

Gli appetiti dei gruppi sovranazionali di potere di fatto stanno rendendo sempre più difficoltosa e cibernetica la vita nelle comunità occidentalizzate. Non è affatto vero che questi obblighi elettronici accorcino i tempi burocratici. Di fatto allungano di giorni gli obblighi che prima si svolgevano in pochi minuti o, al massimo, in una giornata. Ne deriva che, influenzate dalle norme di queste strutture, le grandi società come gli enti pubblici stanno obbligandoci a registrarci nel sito di Poste (già sperimentale in alcune città) se vogliamo ritirare della corrispondenza, o adempire ad enormi obblighi di certificazione se volessimo ritirare i nostri soldi dalla banca, come imporre che determinata merce di largo consumo venga venduta solo per controvalore in moneta elettronica, e anche l’obbligo (sta arrivando) a dichiarare all’amministrazione condominiale l’elenco di tutti i nostri elettrodomestici (con numeri che identifichino categoria energetica e norma Ue).

Un gran mal di testa, utile solo a profilare il cittadino-consumatore, e per imporgli l’acquisto d’apparecchiature nuove, programmando per legge l’obsolescenza. Di fatto gli Stati stanno introducendo leggi (comode solo alle multinazionali) che mettono le tante esistenze in mano ai poteri finanziari del Pianeta. Per salvarci dovremmo riedificare l’autodeterminazione dei popoli, e come strumento di difesa dall’aggressione programmata dai colossi economici.

Aggiornato il 28 giugno 2019 alle ore 11:10