“Ora Basta!”, parla Roberto Gentilini: il mio conto aperto con l’Anac

mercoledì 15 maggio 2019


Roberto Gentilini è uno dei tanti imprenditori italiani tenuti nel limbo amministrativo da un’istruttoria dell’Anac di Raffaele Cantone. Colpito da un’inchiesta che si trascina da anni, ma che non sembra – allo stato degli atti – destinata a vederlo soccombere. In compenso, deve patire quella che si può considerare l’equivalente di una vera e propria interdittiva (il parallelo che salta ali occhi è con quelle antimafia emanate dai prefetti che così tante polemiche stanno da tempo suscitando nel sud d’Italia, specie in Campania e Calabria) da parte dell’organismo amministrativo di guerra preventiva alla corruzione. Risultato? Trentuno dipendenti sul lastrico e una società ferma da tempo senza un vero perché. Gentilini è sospettato di avere fatto mercimonio di quelle autorizzazioni a partecipare ad appalti che la sua ditta era in grado di garantire.

Si chiamano Soa. E si vendono alle ditte che ne hanno bisogno per partecipare alle gare. Tecnicamente “l’Attestazione Soa è la certificazione obbligatoria per la partecipazione a gare d’appalto per l’esecuzione di appalti pubblici di lavori, ovvero un documento necessario e sufficiente a comprovare, in sede di gara, la capacità dell’impresa di eseguire, direttamente o in subappalto, opere pubbliche di lavori con importo a base d’asta superiore a 150mila euro; essa attesta e garantisce il possesso da parte dell’impresa del settore delle costruzioni di tutti i requisiti previsti dalla attuale normativa in ambito di Contratti pubblici di lavori”.

Piccolo particolare: le ditte che si sono avvalse a pagamento di quelle Soa tuttora partecipano alle gare e non hanno subito il principio transitivo. Se infatti fossero state irregolari e abusive perché quelle ditte hanno potuto continuare ad avvalersene senza problemi? In compenso, l’inchiesta ipotizza che il pagamento delle parcelle emesse dalla società di Gentilini – a suo tempo – a queste aziende che avevano bisogno di particolari certificazioni di idoneità per partecipare ad appalti più grandi (pagamenti in taluni casi avvenuti dopo sei mesi o un anno) siano il frutto della corruzione. Che l’accusa però non riesce a dimostrare. Anche perché è difficile che un corrotto accetti pagamenti a sei mesi da un corruttore, rilasciando regolare fattura. Gentilini, in questa intervista, ci spiega quella che lui definisce “un’odissea”, puntando il dito contro i meccanismi e gli automatismi burocratici dell’Anac. Che in taluni casi – a suo dire – avrebbe istruito le proprie indagini amministrative ricalcando quelle penali della Guardia di Finanza. Sempre asseritamente da Gentilini, abbondando con l’uso del “copia e incolla” dalle informative di polizia giudiziaria. Tanto che, almeno in un caso, sarebbe stato per errore copiato e incollato persino un rapporto che riguardava invece un’altra azienda e un altro imprenditore finiti nel mirino della Fiamme Gialle. Vicenda analoga ma che nulla avrebbe a che vedere con quella di Gentilini.

Gentilini, lei su questa vicenda del “copia e incolla” ci ha scritto addirittura un libro. Evidentemente è rimasto molto colpito da questa prassi?

Sì, il verbo da usare è “deludere”. La delusione. Io sono rimasto molto deluso da una prassi che però mi si dice molto frequente in ambito giudiziario e, nel caso dell’Anac, anche amministrativo.

Tanto “deluso” da scrivere un libro?

Sì. Anche se poi nel libro si parla di lavoro. Cioè del lavoro che ormai non c’è più per i trentuno dipendenti della mia società fermata dall’Anac. E le dirò che presto ne scriverò anche un altro di libro, sulla mia vicenda diventata ormai kafkiana. Togliere il lavoro alla gente significa togliergli la dignità. Figuriamoci poi se il lavoro viene tolto sulla base di un sospetto infamante trattato come verità rivelata.

Entriamo nei dettagli della vicenda.

La mia storia nasce dal fatto che l’Anac, dando seguito a un’indagine penale della Guardia di finanza per corruzione nata anni fa, nel 2012, e rimasta allo stato larvale, ha aperto un fascicolo a parte. Ora, mentre la vicenda penale si è arenata e non ha superato ancora la fase delle indagini preliminari, quella amministrativa, che si basava sugli stessi sospetti non dimostrati e non dimostrabili, è invece andata fino in fondo con il risultato che la mia azienda è stata interdetta dalle proprie funzioni di potere emettere attestazioni Soa e ha dovuto chiudere.

Situazioni già viste, mutatis mutandis, nella Vexata quaestio delle interdittive antimafia.

Così mi dicono gli avvocati e gli esperti del settore. Fatto sta che l’Anac, con un’istruttoria che io definisco anche piena di errori e assai approssimativa, e qui ritorna la storia del “copia e incolla” che dà il titolo al mio primo libro, ha combinato un disastro.

Che c’entra il “copia e incolla”?

È il loro modo di procedere. Invece di agire autonomamente, interrogare impiegati e personale della azienda per vedere chi ero io, o fare indagini bancarie, per accertare se fossi davvero un corrotto, si sono limitati a copiare e incollare quello che già era contenuto nelle informative della Guardia di finanza, di per sé già molto approssimative – tanto che ancora al processo neanche ci siamo arrivati – ma a loro questo copia e incolla è bastato per farmi chiudere l’azienda e mandare a spasso 31 persone.

Lei nel libro parla anche di un errore materiale in questa attività di “copia e incolla”?

Sì, in almeno un caso si sono sbagliati e hanno copiato e incollato da un’informativa che riguardava un’altra azienda e un altro personaggio anche lui indagato per vicende analoghe.

Poi lei dice anche che secondo l’Anac le parcelle per gli attestati Soa da lei emesse sono state scambiate per il prezzo della corruzione.

Proprio così. Come se uno rilasciasse fattura quando si fa corrompere. Inoltre, nemmeno hanno tenuto conto che quelle fatture spesso sono state pagate anche con notevole ritardo, da sei mesi fino a due anni in qualche caso. Lei ha mai visto un corrotto concedere dilazioni di pagamento al corruttore?

In conclusione?

Ma, dico io, si può chiudere un’azienda e mandare a spasso più di trenta persone con questi metodi e su questi presupposti?


di Rocco Schiavone