I tetti di Grecia ed Italia nel mirino di Ue, Bce e Fmi

I destini economico-finanziari di Roma e Atene tornano in tandem sul tavolo della Troika. Ue, Bce e poteri finanziari vari plaudono alla legge greca che reintroduce nel paese balcanico la pignorabilità della prima casa, quindi suggeriscono che, anche l’Italia dovrebbe legiferare in materia di reintroduzione di pignorabilità ed Imu sulla prima casa. Obiettivo, non tanto velato, sarebbe mettere all’asta entro giugno il 60 per cento degli immobili su Atene e, entro dicembre, gran parte delle prime case pignorabili che insistono nei centri di Roma, Milano, Firenze e Venezia. Ora che la Grecia esca o meno dall’euro diventa ininfluente per i mercati. Mentre l’Italia sarebbe a rischio di uscita dall’euro, e con pesanti dubbi che possa essere ristrutturato il suo debito. Ovviamente, a ventilare queste ipotesi per il futuro del Belpaese sono i soliti “gestori” della finanza internazionale: questi ultimi hanno spinto sulla fuga dei capitali dal mercato italiano del debito sovrano, per boicottare la maggioranza gialloverde.

Ma l’Italia reagisce con un vecchio antidoto, ovvero l’emissione di titoli di debito in dollari (non avveniva dal 2010): una manovra gradita all’amministrazione Trump, un modo per attirare capitali dal ricco mercato americano puntando a vincere la scommessa del cambio (alla scadenza, se l’euro si sarà apprezzato contro il dollaro, il Tesoro potrebbe restituire capitali ridotti agli investitori). Di fatto, sono i soliti speculatori a soffiare sul fuoco della preoccupazione degli investitori per l’eventuale “Italexit”: il rischio perdita sulla conversione in lire riguarderebbe solo i titoli denominati in euro (una parte non importante) mentre quelli emessi in dollari resterebbero immutati. Quindi, tutto fumo speculatorio, utile a far credere che l’Italia starebbe messa come la Grecia.

Nel frattempo l’Ue ha imposto il pignoramento della prima casa in Grecia e vorrebbe stessa sorte toccasse all’Italia. Avevamo già raccontato come i grandi gruppi finanziari s’erano appropriati in Grecia di porti, aeroporti, intere isole e villaggi turistici. Ora tocca alla città di Atene. Parallelamente, l’Ue vorrebbe che anche in Italia fossero immediatamente pignorabili le prime case: nel mirino degli speculatori la trasformazione dei palazzi delle città d’arte italiane e greche in strutture adibite alla ricezione del turismo planetario. Un programma che, in maniera silente, viene attuato anche tagliando i fondi Ue al recupero urbano ed edilizio, al fine d’abbassare il valore di mercato delle case. Il nemico è ancora una volta a Bruxelles, dove viene appoggiato l’approccio predatorio della Troika. Le norme che impedivano la pignorabilità della prima casa erano state varate sia in Italia che in Grecia a seguito della grande crisi (nel 2015 ad Atene) e avrebbero dovuto scongiurare la vendita all’asta della prima casa dei debitori (in difficoltà a rimborsare i prestiti bancari). Di fatto, il piano salva-Grecia, che secondo l’Ue sarebbe servito per scongiurare il fallimento, è stato solo utile alle banche tedesche: infatti, la Grecia ha usato quei soldi per ripianare i debiti con le banche straniere.

L’Italia non è la Grecia, anche se è sempre più difficile affermarlo a Bruxelles: dove per partito preso non vogliono ammettere che l’Italia non abbia alcuna difficoltà a rifinanziare il proprio debito (eppure ad affermarlo è Martin Hüfnerm, ex capo economista di Hvb del gruppo Unicredit). Non dimentichiamo che il default greco ha scosso i mercati perché l’80 per cento del debito insiste in mani estere: mentre i titoli italiani sono oltre le Alpi per meno del 30 per cento. Resta il fatto che, debiti a parte, la ricetta Ue per l’Italia si conferma la stessa della Grecia, ovvero “riforme di austerità”.

Ora, svetta il famigerato rapporto europeo sulla prima casa, che confronta i proprietari italiani di prima casa con quelli tedeschi: ovvero 50 per cento in Germania contro l’80 dell’italiano medio. Questo paragone aveva già portato il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ed il cancelliere tedesco Angela Merkel a sostenere che, la percentuale dei proprietari di prima casa in Italia andava scremata verso le percentuali del resto dell’Ue. Così viene nuovamente sventolato contro l’Italia il famigerato rapporto del Fondo monetario internazionale, che appellerebbe come “debolezza tutta italiana” l’immobilizzazione di capitali nella prima casa.

“Una ricchezza patrimoniale distribuita in modo iniquo rispetto ai redditi”, dicono quelli del Fmi, che invitano così l’Italia “a valutare una moderna tassa di proprietà sulla casa”. L’Ue prende la palla al balzo sentenziando che il debito pubblico andrebbe abbassato mettendo sul mercato la casa dell’italiano medio. Di fatto, l’Ue chiede all’Italia di reintrodurre l’Imu sulla prima casa (abolita da Renzi) per riformare in senso patrimoniale perequativo la fiscalità: una ricetta che l’Fmi starebbe imponendo a tutti i cosiddetti “Paesi avanzati”, partendo dal concetto che “la ricchezza è distribuita in modo più ineguale del reddito”. Ovvero colpire chi ha basso reddito ed ha ereditato casa dai genitori.

Abbiamo già detto (e sempre su questo giornale) come Unione europea e Fondo monetario intendano ulteriormente stringere il nodo scorsoio che, da quasi ventisei anni, tiene sotto ricatto l’Italia: da quel fatidico 16 settembre 1992, quando a seguito dell’annuncio che la Bundesbank avrebbe smesso di appoggiare il cambio fisso della lira italiana al marco tedesco, George Soros (insieme ad altri speculatori) vendette lire allo scoperto, costringendo la Banca d’Italia a svalutare per compensare l’ormai insostenibile sopravvalutazione della moneta. Oggi gli speculatori che manovrano l’industria mondiale degli hedge fund (gli “hedge fund” si sono introdotti nel settore immobiliare italiano attraverso il “real estate”) vorrebbero mettere le mani sull’intero patrimonio immobiliare (pubblico e privato) del Belpaese. Lo farebbero dopo aver rodato la pratica delle “fondazioni immobiliari” nella realtà americana, dove i “real estate hedge fund” sono la modalità d’investimento che ha permesso a poche famiglie di mettere le mani su gran parte della proprietà privata statunitense (negli Usa anche la Federal Reserve è privata).

Attraverso il recepimento di normative Ue, gli speculatori contano d’introdurre nell’ordinamento italiano i “fondi immobiliari speculativi”. Per fare questo devono spingere perché cada sugli italiani una pesantissima patrimoniale, a cui gli italiani non riuscirebbero a far fronte. Come conseguenza di una grave mancanza di liquidità diffusa, gli speculatori auspicherebbero un governo tecnico (con un nuovo Monti) che potrebbe armare la creazione di un fondo immobiliare italiano a cui conferire l’intero patrimonio immobiliare (pubblico e privato). Un fondo aperto, soprattutto agli investitori esteri che, di fatto, nel giro d’un decennio cannibalizzerebbero tutte le case degli italiani. Il popolo italiano, nell’82 per cento proprietario di casa, si trasformerebbe in un popolo di senzatetto, al meglio di affittuari delle proprie stesse case, ormai in mani straniere.

Tutto è imperniato sull’investimento altamente invasivo nei Paesi poveri occidentali (ha già operato in Grecia) e che trae ispirazione dai fondi immobiliari ordinari. Se la Troika subentrasse al Governo Conte, i fondi immobiliari speculativi verrebbero introdotti come “metodologia per eccezioni” in casi d’eccessiva esposizione in debito pubblico. Non è fantafinanza. È che negli ultimi anni il settore del “risparmio gestito mondiale” ha iniziato a studiare come cannibalizzare i beni nello stesso Occidente. Avvisaglia fu proprio la nascita dei “fondi comuni di investimento” che oggi consentono di trasformare investimenti immobiliari (che per loro natura richiedono tempi più lunghi degli investimenti di tipo mobiliare) in quote di attività finanziarie, che consentono di generare liquidità senza che l’investitore debba acquisire direttamente un immobile. Del resto, questa tipologia è entrata in Italia nel 1998 ed ha ispirato la mano pubblica nelle svendite, nelle cartolarizzazioni dei patrimoni immobiliari degli enti, le fantomatiche “alienazioni”.

Un commissariamento europeo dell’Italia potrebbe conferire le nostre case a un fondo. Potrebbero venderci casa a nostra insaputa. La durata minima prevista da queste particolari tipologie di investimento finanziario è pari a dieci anni (la massima può raggiungere anche i trenta): la data di scadenza segna anche il momento in cui il patrimonio verrà ripartito, distribuito, e come nella vicina Grecia le case diverrebbero degli investitori esteri.

Aggiornato il 12 aprile 2019 alle ore 18:38