Previsioni Italia: l’Ocse non fa paura

Il segretario generale dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Angel Gurría, è sbarcato a Roma per presentare il Rapporto economico sull’Italia 2019. Ad accoglierlo al ministero dell’Economia e Finanza c’era uno stressato Giovanni Tria. Il documento presentato da Gurría, piuttosto articolato, reca valutazioni nel merito del quadro macroeconomico nazionale e presenta alcune ricette di politica economica che, a parere degli esperti dell’Ocse, dovrebbero rimettere in movimento la locomotiva produttiva italiana. Il dossier che, diciamolo francamente, non scalda i cuori, va tuttavia letto con attenzione.

Non basta aggrapparsi a un numeretto, come stanno facendo politica e media in questi giorni, per orchestrare una sarabanda di polemiche del tutto inutili. Il numero in questione attiene alla previsione sul Pil stimato in contrazione, per il 2019, al -0,2 per cento. La stagnazione c’è e non la si può negare. Come non si può tacere il fatto che essa dipenda da un rallentamento globale dell’economia. È di tutta evidenza che un Paese esportatore come l’Italia subisca più di altri il raffreddamento degli scambi commerciali. Ma la polemica politica non serve a fare il bene del Paese giacché si focalizza sul sintomo finale e non sulle cause dalle quali è scaturita la malattia. Su questo aspetto, invece, il rapporto Ocse è chiarissimo: “La crescita della produttività è stata debole o negativa negli ultimi 25 anni”. Quindi, non è questione di ciò che si è fatto o non fatto negli ultimi sei mesi ma di come il Paese sia rimasto ingessato nell’ultimo quarto di secolo. Il macigno che ostruisce la strada della ripresa riguarda la difficoltà di fare impresa in Italia, specialmente per i potenziali investitori esteri. Il Rapporto elenca i principali fattori della ripresa per spingere i quali occorrerebbero interventi radicali: la promozione della concorrenza nei mercati tuttora protetti; lo sviluppo delle dinamiche d’impresa e dell’innovazione; la rimozione degli ostacoli che frenano la crescita delle Pmi e il miglioramento dell’efficienza della Pubblica amministrazione. Saranno pure dei geni all’Ocse, ma è la scoperta dell’acqua calda. Comunque dal Report si evince che il principale problema italiano non sono i miliardi messi sui due provvedimenti bandiera dal governo giallo-blu: il Reddito di Cittadinanza e la quota 100 per le pensioni.

L’Ocse non boccia la misura di contrasto alla povertà ma si limita a raccomandare che il livello del trasferimento previsto dal programma attuale del Reddito di Cittadinanza sia subordinato a patti d’inclusione sociale e di occupazione ben concepiti e monitorati. In pratica, che si facciano funzionare a dovere i Centri per l’impiego la cui riforma è in corso d’opera. L’Ocse sull’argomento si spinge oltre. Il Rapporto suggerisce l’introduzione di un sistema di assistenza ai lavoratori e l’abbassamento del Reddito di cittadinanza alla quota del 70 per cento della linea di povertà relativa, pari al 50 per cento del reddito medio rilevato su scala nazionale, allo scopo di incentivare l’occupazione e al tempo stesso di proteggere le famiglie dalla povertà. Il Rapporto raccomanda di “Conferire all’Anpal il potere di ristrutturare i Centri per l’impiego che ripetutamente non riescono a raggiungere gli obiettivi concordati”. Dove, invece, l’Ocse si esprime negativamente è sulla Quota 100 per l’età pensionabile. Ma nessuna meraviglia, l’organismo internazionale è stato coerente con se stesso dal momento che ha storicamente sostenuto di non credere al cosiddetto effetto sostituzione - il turnover - nell’uscita anticipata dal mondo del lavoro di occupati per favorire il ricambio generazionale.

Per completezza, l’organismo internazionale si pronuncia sfavorevolmente sui condoni fiscali e su sistemi impositivi ispirati alla flat tax perché non garantirebbero di tenere l’obbligo tributario in linea con sostenibili criteri d’equità. L’Ocse chiede al Governo di tenere a bada il debito mediante l’aumento dell’avanzo primario di Bilancio. Che tradotto vuol dire austerità nella spesa corrente. Ciò che l’Ocse non considera è che l’Italia sia in avanzo primario da oltre 20 anni, ma ugualmente il debito non sia diminuito e non ci sia stata una crescita significativa. L’Ocse chiede anche di “elaborare un programma completo di sviluppo territoriale e investimenti pubblici”. I soli denari da recuperare per fare maggiori investimenti non possono certo provenire dalle tasche già ampiamente spremute degli italiani. L’unica via percorribile è la razionalizzazione della spesa pubblica su cui tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni si sono impegnati senza successo.

La politica è pensiero e azione, parole appassionate e fatti concreti. Se fino ad oggi si sono udite tante chiacchiere, di atti concludenti se ne sono visti pochi. Eppure, la risposta alla domanda delle domande: “Com’è possibile che un Paese quale l’Italia, ricco di qualità e potenzialità produttive, debba stare perennemente attaccato alla bombola dell’ossigeno dei compratori del suo debito sovrano?” è nell’inefficienza e nella farraginosità della macchina amministrativa. Il male italiano si chiama burocrazia. Fin quando una classe politica coraggiosa, integerrima e di vista lunga non smantellerà a picconate il labirinto di regole e regolette che imprigiona e uccide, come la tela di ragno, l’entusiasmo di chiunque voglia intraprendere un’attività imprenditoriale, il Prodotto interno lordo non si schioderà dagli zero-virgola di crescita, quando andrà bene. Al momento, di là dai proclami, questo Governo giallo-blu non sembra possedere i crismi di quella leva di innovatori che dovrebbero traghettarci in un futuro migliore. Cosa sarà del Report Ocse? Il Governo farà spallucce, ben conscio di dover attendere il secondo semestre dell’anno per verificare se e quanto il pacchetto di provvedimenti varati funzionerà a dare una scossa al Pil; le opposizioni continueranno ad abbaiare alla luna, consapevoli del fatto che il Governo non cadrà, almeno nell’immediato. È l’indomito spirito del gattopardo che non ci abbandona.

Aggiornato il 03 aprile 2019 alle ore 11:08