L’algebra dei limiti

venerdì 22 marzo 2019


L'algebra dei limiti è quella operazione matematica di passaggio che ricomprende dei calcoli esatti che non possono in alcun modo prescindere da due riferimenti precisi: quelli del limite inferiore e di quello superiore. Due estremi numerici che non si possono ignorare in un calcolo come si deve. Questo concetto ho faticato non poco a farlo entrare nella mente di un mio vecchio amico democratico cristiano che, obiettando alle mie critiche verso il governo Conte, aveva osservato, papale-papale: “Ma come può, un ex-democristiano ammodo come sei tu, opporsi a delle norme, come il reddito di cittadinanza e quota 100, che sono a favore degli ultimi?”.

Affermazione assolutamente condivisibile, questa, però quell’anziano amico, poveretto, è del tutto ignorante (cioè non conoscente appieno, non mi permetterei mai di offenderlo) su due nuovi elementi da cui non può assolutamente prescindere il politico di oggi. Il primo è che, nella cosiddetta Prima Republica (epoca in cui l’ho conosciuto), il nostro rapporto debito/Pil non si era ancora cronicizzato ai livelli di assoluta emergenza attuali e che - in riferimento ad essi- noi abbiamo assunto un impegno di rientro d'onore verso altre nazioni con cui oggi condividiamo la stessa moneta.

Il secondo, appunto, è che oggi c'è l'Euro al posto della Lira. Mi spiego meglio.
Quell’immenso debito, ove fosse rapportato alla assoluta staticità della nostra crescita e all’elevato livello di tassi di interesse che applichiamo a chi lo va ad acquistare, è figlio proprio di politiche previdenziali dissennate (es. “baby pensioni”) che ci facevano scimmiottare le nazioni più avanzate che c’erano nel Continente, però con la particolarità che essi potevano praticarle e noi - invece- le finanziavamo con l'emissione di Titoli di debito che - anno dopo anno- si premuravano di turare le falle di bilancio

La rincorsa alla vendita di Titoli di debito a soggetti (interni ed esterni) faceva sì che i tassi di interesse da pagare, per noi, fossero ben più alti di quelli praticati da altri Paesi (Germania in primis, la nazione di riferimento per il calcolo del cosiddetto. “spread”. Ciò ha contribuito non poco a far lievitare a dismisura la pasta dei nostri “pagherò”.

Così, ove si fosse appresa perfettamente la lezione, per far fare all’Italia un percorso di crescita virtuoso, non è alle politiche previdenziali che si deve puntare. E veniamo al secondo punto. Possono essere considerate molle sicure per una crescita virtuosa le due mancette che finiranno per diventare il reddito di cittadinanza e quota100? Perché lo siano, ciò dovrebbe significare che spendendo “1”, io dovrei ottenere - quantomeno—“1,01”. Non penso affatto che sarà così. Perché, per quanto si cerchi di “mettere le briglie” a quel denaro, è dimostrato che una parte di esso rimarrà comunque inutilizzata, o distolta per i mille rivoli di prodotti extra-Ce. Un pensionato, insomma, non spenderà mai totalmente la sua entrata mensile. Ergo: se lo Stato spenderà 100 (esorbitando limiti di spesa concordati), non riuscendo a riottenerli dalla fiscalità generale, entrambe queste operazioni politiche avranno finito per significare o un aumento oltremisura del deficit nazionale, ovvero una mascherata operazione di vera e propria scarnificazione sociale. L’ulteriore rapina a un ceto medio ridotto ormai all'osso.


di Sante Perticaro