Con la logistica la Cina pianifica il mondo

Nel gennaio 2008 ho partecipato ad un summit sulla logistica organizzato dalla Università di Pechino a Pechino, un summit della durata di circa dieci giorni in cui venne anticipata la proposta del progetto “One belt One road”. Rimasi sconcertato nel leggere che nel piano si ipotizzava già la istituzione di un primo collegamento sistematico, attraverso la ferrovia, tra Pechino ed il porto di Amburgo. In modo davvero ingenuo chiesi, durante il summit, quando una simile ipotesi programmatica sarebbe stata resa operativa; la risposta fu immediata: “dal mese di dicembre 2007 c’è già un treno/settimana e dall’aprile 2008 ci saranno tre treni settimana”. Capii, allora, che la Cina aveva deciso di “pianificare il mondo”. Lo aveva fatto sconvolgendo ogni logica limitativa dello “spazio territroiale”, ogni logica vincolante del concetto di “confine”, ogni logica vecchia della articolazione modale del traporto (ferro-gomma-aereo), ogni logica banale legata alle filiere merceologiche ed aveva, in modo davvero inimmaginabile, dimostrato alla cultura trasportistica del pianeta cosa sia davvero la “supply chain”.

Già in un precedente blog ho ricordato quanto era stato entusiasmante per noi della Unione Europea concepire prima il Master Plan dei Trasporti della Unione Europea nel 1986, su proposta italiana, e poi nel 2004 e nel 2013 le Reti TEN – T; pensavamo che quella programmazione infrastrutturale avesse annullato il provincialismo che albergava nella Unione Europea, una Unione sommatoria di Stati e non realtà portatrice di un assetto logistico organico e comune. Invece, ripeto, la Cina sconvolgeva completamente quello che per noi sembrava un progetto all’avanguardia almeno per quanto concerne la dimensione strategica ed il coinvolgimento di 28 Paesi. Avevamo ragione ad essere sconvolti e forse solo ora, dopo dieci anni, stiamo capendo quale sia la dimensione di un tale impianto programmatico e lo stiamo capendo e misurando leggendo, proprio in questi giorni, l’atteggiamento e le preoccupazioni degli Stati Uniti

Fino a questo momento, la Cina ha concluso accordi formali con Paesi periferici, come la Grecia o l’Ungheria, e sono stati inseriti Paesi dell’area balcanica e dell’Europa orientale. Ma per l’Italia è un altro discorso. Roma è parte del G7, è uno dei partner principali della Nato, Napoli è l’hub dell’Alleanza atlantica nel Mediterraneo, e Donald Trump ha stretto ottimi rapporti con il governo giallo-verde. Insomma, l’Italia non è un Paese come gli altri per Washington.  Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca ha dichiarato al Financial Times che “la Via della seta è un’iniziativa fatta dalla Cina, per la Cina”. Ma ha anche lanciato un monito diretto nei confronti di Roma: “Siamo scettici che l’adesione del governo possa portare benefici economici durevoli al popolo italiano e nel lungo periodo potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale del Paese”. Parole cui è arrivata l’immediata reazione di Pechino. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lu Kang ha dichiarato: “Penso che i giudizi siano davvero assurdi. Come grande Paese e grande economia, l’Italia sa dove si trova il suo interesse e può fare politiche indipendenti”.

Proprio per evitare uno scontro con gli Stati Uniti, ma anche per continuare a sostenere accordi con Pechino, la Farnesina ha mostrato prudenza. Come riportato da Il Sole 24 Ore, il ministero degli Esteri ha affermato che l’accordo fra Italia e Cina “non è ancora completato anche perché è in corso di elaborazione all’interno del Governo una linea comune che non è stata ancora trovata”.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Luigi Di Maio, ha deciso di accelerare sul progetto e sul coinvolgimento italiano nella Nuova Via della Seta. Mentre sembra che la Lega abbia, invece, avviato un forte spostamento del proprio asse verso gli Stati Uniti. In realtà questa fibrillazione politico – istituzionale testimonia la incisività del “progetto – pianeta” cinese e, al tempo stesso prendono corpo le tipiche paure legate ai nodi strategici dell’intera programmazione.

Prendono corpo cioè le paure di chi all’interno del nostro Paese o all’interno della stessa Unione Europea intravvede delle dominanze e delle convenienze per due HUB logistici come quelli di Genova – Savona o di Venezia – Trieste. Prendono corpo all’interno ed all’esterno del nostro Paese tutte forme di puro autolesionismo come ad esempio lo stesso assurdo comportamento nei confronti sia dell’asse ferroviario Torino – Lione, sia dell’asse ferroviario Genova – Milano (Terzo Valico), sia dell’asse ferroviario Verona – Vicenza – Padova – Venezia – Trieste. È come se di fronte ad una iniziativa davvero lungimirante scattassero automaticamente i provincialismi tipici di un Paese in cui ogni impostazione strategica è gestita non da un Governo ma da due contrapposti schieramenti.

Ora mi chiedo possiamo perderci questa irripetibile occasione o, peggio ancora, possiamo rischiare di essere spettatori e non attori di un simile processo? Ormai è sufficiente leggere la serie di accordi e la serie di interventi che la Cina d’intesa con i Paesi ubicati sulle le due braccia del progetto, quello terrestre e quello marittimo, sta realizzando, per capire e per convincersi che trattasi ormai di una operazione irreversibile e che, senza dubbio, le convenienze e le finalità della Cina sono tipicamente espansionistiche ma pensare di ostacolare o ritardare la intera operazione significa solo illudersi di aderire a dei blocchi contrapposti inesistenti. La logistica, la supply chain, i disegni strategici a scala mondiale hanno annullato la logica dei blocchi; sembriamo quasi ridicoli a pensare alla Unione Europea, alla Russia, agli Stati Uniti, alla stessa Cina come a dei blocchi portatori di interessi e di progetti coerenti a schieramenti circoscritti all’interno di siti geografici. Posso capire gli altri cittadini del mondo ma noi abbiamo avuto due antenati: uno nato a Venezia nel 1254 e l’altro nato a Macerata nel 1552, Marco Polo e Matteo Ricci, che avevano capito con grande anticipo la forza e l’interesse di far interagire l’assetto economico occidentale con quello asiatico ed orientale. Abbiamo impiegato tanti anni, tanti secoli per rendere “vera” una simile intuizione, adesso evitiamo di non comprenderne la rilevanza e cerchiamo di non cadere nella trappola tipicamente italiana di non consentire la crescita e lo sviluppo di alcuni ambiti territoriali perché in fondo, in fondo, noi italiani rimaniamo follemente “provinciali”.

Tratto dal blog "Stanze di Ercole"

Aggiornato il 21 marzo 2019 alle ore 13:58