Pensioni: la natura dei contributi non corrisponde all’uso che se ne fa

venerdì 1 marzo 2019


Dall’avvio della riforma Dini sul metodo contributivo per il calcolo delle contribuzioni, la natura dei contributi come retribuzione differita e non come imposta si può dire, per fortuna, definitivamente risolta.

“Il sistema - scrive Fabrizio Cacciafesta nel focus ‘Alcune contraddizioni del sistema contributivo in Italia’ - si presenta secondo il principio di restituire ad ognuno quello che egli ha pagato”. In questa prospettiva, prosegue l’autore, “pensare a requisiti minimi di età/anzianità necessari per maturare il diritto alla pensione contributiva significa, se è consentito dirlo, non aver ben capito la logica sottostante. Le accanite discussione al riguardo (si pensi alla mitica ‘Quota 100’, o alle problematiche dell’Ape o della ‘opzione donna’) possono giustificarsi se riferentesi solo alla attuale fase di transizione, in cui le pensioni liquidate sono ancora, parzialmente, retributive. Purtroppo, è invece previsto che quei requisiti durino nel tempo”.

Il problema è che, nonostante l’idea base del metodo contributivo per cui a ognuno viene restituito il suo, i contributi individuali vengono capitalizzati solo virtualmente e spesi a favore dei pensionati vivi al momento.

“Continua dunque - conclude Cacciafesta - la situazione precedente la riforma: toccherà alle generazioni future farsi carico del ‘debito implicito’ e rimborsare quel prestito, pagando le pensioni oggi promesse. Si parla spesso, a questo proposito, di patto intergenerazionale. Ci permettiamo di osservare che, a quanto ci risulta, per fare un patto occorre l’accordo di due parti: qui, una delle due non sembra sia stata consultata. È legittimo chiedersi se le generazioni future potranno e vorranno davvero onorare il debito implicito”.


di Istituto Bruno Leoni