“Ora Basta!”, intervista a Edoardo Bianchi

“Se a tre anni dalla sua approvazione il Codice degli appalti non sta ancora funzionando per parere del suo massimo responsabile politico amministrativo, cioè il capo dell’Anac Raffaele Cantone, che altro dobbiamo aspettare per prendere drastici provvedimenti?”.

Edoardo Bianchi che è vicepresidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), riassume così, in questa intervista della serie “Ora Basta!”, cosa è in ballo nel mondo delle costruzioni italiane. E ci spiega cosa non va nel mondo degli appalti nel nostro Paese. A cominciare dal famigerato codice, ma non solo.

Partiamo dal Codice degli appalti e dal senso della iniziativa “Ora basta!”. È un’emergenza?

“Ora basta ha ovviamente un significato e una portata più ampi del Codice degli appalti, anche se nasce da questo problema. La situazione delle infrastrutture in Italia infatti è bloccata. Ma non è solo il mondo delle costruzioni. Possiamo allargare lo sguardo a quello dei professionisti e a tanti altri ambiti. È tutto fermo e così non si riesce più ad andare avanti. In questo quadro il Codice degli appalti è uno dei problemi ma nemmeno il principale. Il presidente dell’Anac dice che “è stato applicato poco e male”. Ora questo che significa? Che se una legge a tre anni dalla emanazione produce questi risultati evidentemente non ha funzionato. E quindi non funziona”.

E cosa non ha funzionato?

“Nel 1994 dopo Tangentopoli ci fu un riforma dei lavori pubblici, la famosa Legge Merloni, che disse che la madre di tutte le battaglie è che ci siano progetti esecutivi da mandare in gara. Purtroppo dal 1994 al 2016, anno della approvazione del Codice degli appalti, di questi progetti esecutivi da mandare in gara non ce n’era traccia o quasi e oggi la situazione non è cambiata. Quindi forse il problema del concetto e della definizione esatta di questi benedetti progetti esecutivi esiste. Sennò non ne discuteremmo qui. In pratica i problemi di questo codice sono due: la prima  la vexata quaestio la razionalizzazione delle stazioni appaltanti, che in Italia sono decine di migliaia, 4mila centri di spesa precisamente. Ad oggi sono rimaste quelle che erano prima. Capito quindi il vero problema?”.

Ma gli amministratori locali perché non si mobilitano per dire anche loro “Ora basta!” lasciando il cerino in mano agli imprenditori?

“Mi appello al quinto emendamento, la politica ha le sue ragioni che la ragione non capisce”.

Parlavamo di due concetti base per la ratio del Codice degli appalti. La seconda?

“L’albo dei commissari di gara per aggiudicare le medesime. Il codice diceva che era l’Anac a doverle designare, un po’ come gli arbitri che vengono scelti dalla apposita commissione nel calcio. Ebbene cosa è successo in tre anni? Questo albo ancora non c’è. E le partite non si possono giocare. Allora uno si rende conto che se i due pilastri su cui doveva essere costruito questo codice non ci sono o funzionano malissimo allora è chiaro che poi tutta la costruzione rischia di crollare”.

Lei diceva che il codice è solo uno dei problemi. Quali altri ci sono per voi costruttori?

“Forse il più grande dei problemi in assoluto è  - e cantone è d’accordo perché lo dice in tutti i convegni – il bisogno di riperimetrare il reato di abuso di ufficio. E questo perché? Perché oggi – se ci si mette nei pani di un funzionario pubblico che prende 1500 euro al mese – non firmare che mettere un visto. Perché l’omissione di atti di ufficio in pratica non viene perseguita mentre se uno appone una firma sa di sicuro che magari fra dieci anni qualcun altro gliene potrà chiedere conto. Lo stesso presidente dell’Anac ci dice che questo reato è contestato con grande facilità quando si arriva a sentenza definitiva viene confermato in due casi su cento e in primo grado la percentuale è del dieci per cento, cioè bassissima. Però una volta aperta l’inchiesta per il funzionario pubblico la carriera è finita. E le firme sono bloccate”.

E che tipo di “riperimetrazione” vorrebbero i costruttori?

“La proposta che noi facciamo come Ance è che siccome il reato in questione chiama sempre la responsabilità erariale, almeno di escludere questa quando la singola inchiesta sia stata caratterizzata da sentenze contraddittorie tra il primo grado e la Cassazione. Ossia lo Stato non chiede i soldi a un funzionario se non nei casi conclamati che di solito sono di corruzione, ma non quando viene assolto in primo grado, condannato in secondo di nuovo assolto in altro giudizio di appello disposto dalla Cassazione, di nuovo condannato in ulteriore dibattimento e così via...”.

A occhio è croce sembra una riforma difficile..

“Sì, capisco i limiti costituzionali. Però qualcosa bisogna inventarselo. Ci sono funzionari pubblici che hanno agito e firmato in un certo modo perché il regolamento del proprio comune glielo imponeva non solo glielo consentiva. Se in Italia non esiste più non solo la certezza del diritto ma neanche lo stato di diritto vero e proprio poi è inutile appellarsi alla costituzione che molte leggi nazionali e locali ignorano del tutto e che rimangono vigenti finché non ne viene prima eccepita e pii stabilita la eventuale incostituzionalità”.

Insomma “l’è tutto da rifare”, come si diceva una volta nel varietà?

“Siamo così ingarbugliati che non si sa da dove iniziare a mettere le mani. Riassumendo però si può dire che per prima cosa bisogna riscrivere il reato di abuso di ufficio e riconfigurare la responsabilità erariale. E poi c’è il codice che andrebbe riscritto visto che dopo tre anni sono state emanate solo le linee guida che competono all’Anac. Che sono circa un terzo. Tutte le altre istituzioni non hanno fatto nulla. Ma io dico: se dopo tre anni questa è la situazione vorrà forse dire che ci sono difficoltà attuative di questo codice. E quindi io penso che al limite la sua abrogazione sarebbe la cosa migliore”.

Per sostituirlo con cosa? Con le normative europee?

“In parte, perché quelle riguardano gli appalti sopra le soglie di 5 milioni di euro. Resta però il problema degli appalti cosiddetti “sotto soglia”, che sono prevalentemente nazionali”.

E con quelle come si fa?

“Ci vorrebbe ragionevolezza e non contraddittorietà nelle leggi del settore per prima cosa. La mia proposta è differente. L’Europa ci ha reso obbligatorio ad esempio ‘l’avvalimento’, cioè il fatto che se io voglio partecipare a un certo appalto ma non ho le caratteristiche posso “avvalermi” di un’altra impresa che invece le possiede. Questo ha determinato una specie di mercato delle vacche e dei pezzi di carta  del settore con tutti gli inconvenienti del caso”.

E quale sarebbe la proposta allora?

“L’Ance propone che si ritorni alla legge dei Lavori pubblici base che poi ogni quattro o cinque anni recepisca le direttive europee integrandole con l’ordinamento nazionale. Ma senza lasciare l’attuale enorme discrezionalità che queste direttive europee lasciando al singolo paese. Perché in Italia non possiamo permettercelo visto che questa discrezionalità produce solo caos e abusi. Ognuno fa come gli pare, notoriamente”.

 

 

Aggiornato il 05 febbraio 2019 alle ore 16:27