Il “bancariamente corretto” che strangola l’Italia

Gli “hedge fund” sono stati introdotti nel settore immobiliare italiano attraverso il “real estate”, e lo avevamo più volte scritto su “L’Opinione”. Spiegando al lettore che gli speculatori manovrano l’industria mondiale degli “hedge fund”, e oggi vorrebbero mettere le mani sull’intero patrimonio immobiliare (pubblico e privato) del Belpaese. Operazione facile, dopo aver rodato la pratica delle “fondazioni immobiliari” nella realtà americana, dove i “real estate hedge fund” sono la modalità d’investimento che ha permesso a poche famiglie di mettere le mani su gran parte della proprietà privata statunitense (negli Usa anche la Federal Reserve è privata).

Oggi metà dei proprietari d’immobili risulterebbero indebitati: soprattutto titolari di mattone invendibile. Secondo gli esperti finanziari graditi ad Ue e Bce sarebbero “incapaci di vendere gli immobili e reinvestire altrove”. Di fatto ai grandi speculatori farebbe gola la ricchezza degli italiani, stimata in circa nove volte il loro reddito disponibile. Secondo le stime in mano alle agenzie di rating, un ventesimo della popolazione controllerebbe un terzo della ricchezza immobiliare nazionale: fatta eccezione per l’80 per cento dei piccoli proprietari di prima casa. A ben guardare, il susseguirsi delle crisi sarebbe stato azionato dai sistemi speculativi internazionali per costringere gli italiani ad indebitarsi e far fronte alla spesa corrente. Ergo, bruciare i risparmi del contribuente medio o, peggio, costringerlo a svendere i patrimoni familiari attraverso la “patrimoniale occulta” (il famigerato spread).

Agli speculatori non interessa colpire i grandi risparmiatori che, fortunati loro, hanno già portato per quasi l’80 per cento la propria liquidità all’estero. Il loro obiettivo è il grande risparmio medio-piccolo, il famigerato colpo ai salvadanai degli italiani. In pratica, da un lato bruciare i risparmi attraverso operazioni speculative e dall’altro costringere il Governo ad imporre pesanti imposte sulla casa e, soprattutto, un robusto prelievo forzoso e retroattivo dai conti correnti. E siccome questo Governo si rifiuterà d’obbedire ai dettami dell’”Euro-bancariamente corretto”, puntano sulla caduta dell’Esecutivo per far sedere a Palazzo Ghigi un Monti bis. Di fatto questo Governo ha dimenticato nella manovra di bilancio (non si sa se per una svista o dolo) di fissare il tetto dell’Imu sulle seconde case: svista che potrebbe aprire la pericolosa porta della super tassazione locale, portando il valore degli immobili italiani sullo stesso livello di Grecia, Cipro e Portogallo. Ci auguriamo che l’Esecutivo ponga celermente rimedio, onde evitare l’accelerazione speculativa (il 30% degli immobili italiani sono nel mirino del “real estate”).

Ma analizziamo il perché l’Italia è sotto ricatto bancario internazionale. Oltre un terzo del debito pubblico italiano è in mano agli stranieri: circa il 33 per cento. Emerge da una analisi del “Centro studi di Unimpresa” sul debito pubblico italiano, secondo cui i titoli sottoscritti da fondi e assicurazioni sono calati di 28 miliardi (-19%) a 120 miliardi. Invece, tra il 2015 e il 2017, s’è raddoppiata la fetta di titoli pubblici detenuta dalla Banca d’Italia, che ha incrementato di quasi 200 miliardi di euro (+108%) gli acquisti di Bot e Btp nell’ambito del piano promosso dalla Banca centrale europea.

Scende invece da 149 a 120 miliardi (-20%), complice anche il forte calo dei rendimenti, lo stock di obbligazioni pubbliche emesse dal Tesoro detenuto da famiglie e imprese. E si è alleggerito di quasi 32 miliardi il portafoglio di bond dello Stato italiano posseduto dalle banche. Il potere delle grandi banche è enorme, ecco perché da circa una ventina d’anni s’è sempre più radicato il “gradimento bancario” su governi e singole personalità politiche ed istituzionali. Al punto che il “gradimento bancario” ha superato il classico “consenso popolare”.

“Questi numeri sono fondamentali per capire il grado di attenzione degli osservatori mondiali in vista della formazione d’un governo - osserva Claudio Pucci, vicepresidente di Unimpresa - Chiunque riuscirà a formare una maggioranza e dar vita a un Esecutivo dovrà sempre fare i conti con i big mondiali della finanza, esattamente come è accaduto negli ultimi decenni. Nonostante gli sforzi della Bce, siamo sempre sotto pressione e il potere delle grandi banche d’affari internazionali, che hanno la maggioranza relativa di ‘Italia spa’, è enorme”.

Secondo i dati della Banca d’Italia, negli ultimi due anni il debito pubblico è salito di 116,3 miliardi (+5,35%) dai 2.173,3 miliardi del 2015 ai 2.289,6 miliardi del 2017. Un periodo nel quale accanto a una crescita costante del “buco” nei conti dello Stato si è registrata qualche modifica nella composizione dei sottoscrittori di Bot, Btp e Cct. Nel 2015, la Banca d’Italia deteneva 169,4 miliardi di titoli pubblici del nostro Paese, cifra corrispondente al 7,80 per cento del totale del debito; la fetta di debito sottoscritta dall’istituto di via Nazionale, nell’ambito del piano di acquisti avviato dalla Banca centrale europea, è salita a 353,7 miliardi a fine 2017 e la fetta raddoppiata al 15,45%; l’incremento è di 184,3 miliardi (+108,81%).

In pratica lo Stato s’indebita all’estero con la finanza mondiale e non chiede soldi agli italiani. Ovvero le banche non propongono Bot al risparmiatore medio, ma solo titoli speculativi. Così i sacrifici degli italiani (i risparmi) vengono congelati per ordine della “finanza mondiale”, che obbliga lo Stato ad indebitarsi all’estero e non con la popolazione italiana (come s’usava ai tempi dei buoni del tesoro e della Banca d’Italia pubblica).

Siamo un Paese ricco abitato da poveri: ed il paradosso è racchiuso nei dati dell’ultimo rapporto Consob. La ricchezza degli italiani equivale a 9 volte il loro reddito disponibile. Un rapporto molto alto, che sembrerebbe giustificare il mito della previdente formichina italica. Ma le ricerche della Banca d’Italia dicono che la società italiana è tornata ai livelli di disuguaglianza degli anni Novanta. In due numeri: il 30 per cento più ricco degli italiani è titolare del 75 per cento della ricchezza nazionale e, di questa quota, il 40 per cento è nella disponibilità del 5 per cento più ricco del Paese. È la finanza mondiale che ha favorito la ripartizione involuta, usando il sistema delle crisi incrociate.

Perché dal sondaggio compiuto dalla Consob (autorità che governa Borsa e finanza) si deduce che l’investitore italiano medio è, finanziariamente, pressoché analfabeta e che, in metà dei casi, non trova di meglio che affidarsi a qualche funzionario della sua banca: un consulente totalmente asservito ai poteri finanziari internazionali. Solo il 25 per cento dei risparmiatori legge i prospetti che accompagnano le varie proposte di investimento. Il 40 per cento non fa neanche lo sforzo di controllare se le sue scelte lo stiano ripagando. In un Paese così fragile è facile piazzare prodotti truffaldini per favorire la speculazione bancaria mondiale (vedasi caso Etruria).

Le responsabilità di Consob e Banca d’Italia sono totali. L’italiano è come una bambino ingenuo in mano ad orchi della finanza. A questo pargolo hanno deciso di levargli casa e risparmi, in nome del “bancariamente corretto”.

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 17:18