La nuova Europa sotto il segno del libero mercato

L’attuale Europa a trazione franco-tedesca confonde la stabilità con il dormire in piedi. Al contrario, la stabilità è e deve essere il presupposto e il terreno fertile per la crescita, e non l’arretramento e l’ostilità per partito preso alle istanze reali dei cittadini e della società. Le persone più capaci hanno il compito di guardare lontano, comprendendo in anticipo ciò che accade e sta per accadere nella realtà e dando vita a progetti e soluzioni di ampio respiro.

Il prossimo Consiglio d’Europa, cioè l’incontro tra i capi di Stato e di governo, si appresta a diventare l’ennesima dormita in piedi europea, con, all’ordine del giorno, la “novità” dell’invasione migratoria, l’intesa a voler rendere il più difficile possibile l’uscita - per fuga - del Regno Unito dall’Unione e come contrastare l’ottimo lavoro di Donald Trump in favore di tutti noi europei. Sotto la voce “migliorare le politiche sociali” si nasconde invece l’anima gattopardesca del malefico asse franco-tedesco, che non ha la minima idea di come realizzare lo sviluppo necessario. Tante strette di mano, nessuno sviluppo.

L’Europa tedesca, così com’è, si spaccherà ancora prima di finire. A fronte della crisi finanziaria si è proceduto con l’immissione di liquidità da parte della Banca centrale europea; operazione non convenzionale. Appena terminerà, quali prospettive si prevedono? I governi degli Stati membri chiedono il rispetto delle regole democratiche, crescita e redditi da lavoro effettivamente prestato. Ad oggi sono state invece portate avanti solo politiche redistributive e assistenziali che ci hanno impoverito tutti, facendo salire oltremodo la pressione tributaria, che oggi è quasi la metà del Prodotto interno lordo, e con un debito che oggi è il doppio degli accordi europei.

Tutte queste politiche redistributive hanno avuto e hanno tuttora, quale presupposto, il mercato viziato, non libero, per cui l’intero “gioco” attuale europeo è corrotto e viziato. L’idea originaria dell’Europa unita era di incrementare la competizione, cosa che ha funzionato solo per gli scambi delle merci, restando fuori il lavoro e i capitali e meno ancora è valso per la tassazione che ha invece operato forsennatamente, o meglio è stata fatta forsennatamente e insensatamente fatta operare contro la libera competizione.

Il Consiglio si appresta a parlare di diversità e divari di produttività, innanzitutto italiana, quando il problema è in realtà la mancata possibilità di procedere con le infrastrutture che mancano e che l’Italia non si può dare perché la nostra stessa politica è bloccata dall’Europa medesima. Il bilancio pubblico italiano, così come quello europeo, non consente cioè di incidere sulle singole politiche economiche avendole escluse, mentre in compenso si chiede il rispetto del rapporto debito/pil con politiche dannose deflazionistiche che peggiorano la situazione.

Non solo non si immagina né si offre una possibile soluzione per non peggiorare, ma questa Europa franco-tedesca offre la disgrazia tipo quella rifilata alla Grecia. Bisogna ridisegnare la nuova Europa sulla base della convenienza che implica la competizione e il libero mercato, il rispetto delle regole dei soli Trattati europei che prevedono progressiva convergenza, non coatta, degli Stati membri e non rigidità e obbligatorietà. La crescita deve essere tendenziale e basata sulle politiche economiche autonome di ciascuno degli Stati membri. Nessuna cessione di sovranità. Per bilanciare il rapporto italiano in Europa è necessario ricondurre alla democrazia e alla politica democratica di ciascuno, al lavoro, all’autonomia di ciascuno Stato membro europeo nella convergenza. La Bce, ricondotta sotto l’alveo della politica, ha gli strumenti per intervenire sul debito e, con la riforma dell’Eurozona, può essere dotata di poteri di intervento sul cambio in modo da modulare l’euro, anche nei confronti delle altre valute.

 

Aggiornato il 26 marzo 2018 alle ore 17:01