Flat tax: scommettere in ottimismo

Un aforisma, un commento – “La pretesa di mandare in carcere chi evade è chiaramente una contraddizione in termini.

Esattamente 150 anni fa, William Gladstone formava il suo primo Governo. Di idee liberali, Gladstone, sia come primo ministro sia nella funzione precedente di cancelliere dello scacchiere, era fortemente motivato a ridurre le imposizioni fiscali e, allo stesso tempo, il loro numero, cosa che effettivamente fece portandole da oltre 400 a poche decine. Nonostante le sorti alterne delle sue iniziative, egli aveva sempre in mente l’obiettivo di rendere accettabile la tassazione, da parte dei contribuenti, in rapporto all’uso che il Governo avrebbe fatto delle risorse così raccolte.

Questi pochi elementi sono sufficienti per intuire la distanza che passa fra le posizioni del liberalismo classico e i contorcimenti ideologici che hanno portato a legittimare le politiche fiscali dei Paesi occidentali, nella maggioranza dei quali l’imposizione è decisamente troppo elevata e, particolarmente in Italia, per nulla avvertita come giustificata in rapporto ai servizi che lo Stato eroga. Se si somma a tutto questo il fatto che, da noi, come recentemente riportato dal Corriere della Sera, le norme fiscali sono ben 783, con relativa soffocazione burocratica, si può ben capire come l’idea della flat tax stia raccogliendo favori crescenti e come essa potrebbe persino, da un lato, ridurre l’evasione e, dall’altro, migliorare la percezione dello Stato da parte dei cittadini.

La tassazione progressiva, in essere in molti Paesi, non ha alcun fondamento etico-razionale e la sua natura di “blanda forma di furto”, come la definì John Stuart Mill, viene razionalizzata con il proclamare che è “giusto” che coloro che hanno di più paghino di più. Un principio che anche un ragazzino delle medie saprebbe tradurre nel concetto di “proporzionalità”: ho di più e, dunque, è giusto che io paghi proporzionalmente di più. Ma la progressività, con aliquote arbitrariamente crescenti, è semmai ultra-proporzionale, sembra assumere un carattere “punitivo” della ricchezza ma in realtà è dovuta unicamente all’enorme fabbisogno finanziario dello Stato moderno. La sempre più accentuata tendenza dello Stato a mettere le mani in attività debordanti rispetto a quelle che anche il pensiero liberale riconosce come doverose – istruzione, difesa, infrastrutture e così via – ha generalizzato crescenti spese meramente decise in sede politica senza alcun riguardo per la razionalità economica, finendo per creare voragini nei bilanci pubblici con conseguente necessità di aumentare il gettito fiscale. Tutti i partiti, in tutti i Paesi, riconoscono che le imposte e le tasse andrebbero diminuite e sono ben pochi coloro che ritengono che imposte elevate inducano maggiore propensione agli investimenti perché, semmai, è empiricamente vero il contrario.

In Italia, diminuire il gettito fiscale può certamente significare, nel brevissimo periodo, mettere a rischio la credibilità finanziaria dello Stato ma, nel medio periodo, può generare nuova ricchezza e quindi riportare il gettito a livelli sufficienti per recuperare credibilità.

La flat tax, insomma, è una scommessa, con rischio calcolato, su una ripresa economica effettiva e quindi diversa da quella attuale, largamente dovuta alla generale ripresa del contesto internazionale, come dimostra l’aumento delle esportazioni in assenza di svalutazione. Ogni scommessa, però, ha bisogno di ottimismo e di fiducia in se stessi ma anche negli altri e c’è dunque da augurarsi che, dietro le quinte, vi siano davvero tanti imprenditori potenziali che la tassa piatta possa mobilitare e stimolare. In caso contrario, dovremo rassegnarci a tornare alla situazione attuale, ad imprecare contro l’esosità e l’iperburocrazia dello Stato, ad arrabbiarci con gli evasori e ad accontentarci di essere e restare all’ultimo posto dei Paesi europei. Pregando il Cielo che almeno essi progrediscano lasciandoci qualche briciola.

Aggiornato il 21 febbraio 2018 alle ore 08:18