Agenzia Entrate: uno Spelacchio legale

A due passi da Spelacchio, nella gelida e sonnacchiosa ultima notte romana di vere votazioni della legislatura (quella tra il 19 ed il 20 dicembre), gli onorevoli deputati della Commissione bilancio hanno pensato bene di giungere all’approvazione di un emendamento che, oltre a rappresentare l’ulteriore bonus in favore di una ristretta cerchia di beneficiari, costituisce uno schiaffo indecoroso alle decisioni della Corte costituzionale e una lesione grave dei principi di buon andamento e imparzialità nella Pubblica amministrazione.

Facciamo un passo indietro. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 37/2015, dichiarò definitivamente illegittima la pratica ripetuta delle agenzie fiscali, coperta da reiterati decretini ad hoc, di affidare incarichi dirigenziali a propri funzionari, senza concorso pubblico e su base meramente discrezionale; ne seguì la decadenza di tutti gli incaricati illegittimi (circa un migliaio), benché una stampa non troppo attenta continuò a parlare ora di dirigenti decaduti, ora di ex dirigenti, ora di dirigenti sospesi, gratificandoli di una qualifica mai guadagnata nell’agone di una selezione pubblica aperta e concorrenziale. La maggioranza parlamentare, aderendo di nuovo – e in spregio alle indicazioni della consulta – alle istanze dei vertici delle agenzie, iniziò un vorticoso mettere toppe più brutte del buco: istituendo nuove figure chimeriche, a metà strada tra il funzionario e il dirigente, dette posizioni organizzative speciali e posizioni organizzative temporanee; organizzando barocche e opache procedure per assegnarle e, in genere, per riassegnarle agli ex incaricati illegittimi; gravando i dirigenti di ruolo, vincitori di concorso pubblico, di fantasiosi interim a distanza, con conseguente infrazione delle capacità di controllo e della riconducibilità delle responsabilità.

Nel corso dei quasi tre anni dalla sentenza si sono poi avvicendati numerosi tentativi di emendamenti ai più tipici veicoli legislativi (legge di stabilità, decreto fiscale, decreto milleproroghe, riforma della Pubblica amministrazione), finalizzati a una sanatoria generalizzata e, magari, a una nomina diretta degli incaricati decaduti nell’albo della dirigenza. Il momento del transitorio della nomina dei nuovi vertici, nel clima distratto dalla prossimità dello scioglimento del Parlamento e dell’avvio della campagna elettorale, ha evidentemente reso possibile un nuovo assalto alla diligenza, stavolta coronato da successo. L’emendamento n. 14.9, presentato dall’onorevole Marco Di Maio del Partito Democratico e riformulato e così approvato dalla maggioranza ha ridotto il numero di posizioni dirigenziali (per finanziare i contestuali interventi a favore degli incaricati illegittimi, non per ridurre la spesa complessiva); ha ridefinito le posizioni organizzative in nuove categorie, dette ora a elevata responsabilità, ad alta professionalità e a particolare specializzazione, da conferire discrezionalmente mediante procedura interna; ha riscritto, in deroga alla normativa generale del testo unico del pubblico impiego, una peculiare modalità di svolgimento del concorso pubblico per l’assunzione dei dirigenti. Dalla lettura attenta di queste nuove modalità, che non si fermi al roboante legalese in cui sono scritte, traspare tutto l’intento di una lobby che probabilmente si estende anche oltre i diretti destinatari: far diventare dirigenti con il minor sforzo e il minor inconveniente possibili il più alto numero di incaricati decaduti. Mentre le altre disposizioni, quelle sulle posizioni organizzative, garantiranno da una parte quelli che proprio non riusciranno a passare neanche per il tappeto rosso della corsia preferenziale concorsuale, dall’altra perpetueranno il meccanismo di contemporanee fidelizzazione e intimidazione, collegato alla possibilità di conferimenti meramente potestativi.

Si prevede, infatti, che se per il concorso, per titoli ed esami, dovessero giungere più domande dei posti banditi (situazione fisiologica), sarebbe possibile instaurare una prova preselettiva con test a risposta chiusa, dalla quale però sarebbero esonerati i dipendenti delle agenzie che avessero svolto per almeno due anni funzioni dirigenziali ovvero ricoperto una posizione organizzativa, di vecchio e di nuovo conio, oltre quelli funzionari di area terza da almeno dieci anni: si tratta, è evidente, di una chiamata nominativa all’esonero di tutti gli incaricati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale. A ciò si aggiungano le disposizioni che nei titoli saranno valutate anche le esperienze lavorative pregresse (quale migliore esperienza di un incarico dirigenziale, benché illegittimamente conferito?) e che è fissata una riserva del 50 per cento dei posti banditi in favore dei dipendenti funzionari di area terza con almeno dieci anni di anzianità. Dal punto di vista strettamente giuridico balza agli occhi subito l’abnormità che una delle causali all’esonero sia il conferimento di un incarico dirigenziale la modalità del quale è stata dichiarata illegittima dalla corte costituzionale. Dal punto di vista tecnico e pratico, inoltre, la norma contiene un non trascurabile vulnus: cosa dovrebbe accadere se, ipotesi del tutto plausibile, il numero dei candidati esonerandi fosse superiore al numero di posti banditi e/o al numero posto come limite per gli esiti della prova preselettiva?

Senza contare che, in questa disdicevole procedura concorsuale, uno stesso titolo, quello dell’incarico dirigenziale illegittimo o quello della posizione organizzativa, verrebbe speso utilmente due volte, la prima per l’esonero dalla prova preselettiva, la seconda in fase di valutazione dei titoli: una chiara, doppia, insopportabile lesione dei principi costituzionali di uguaglianza e imparzialità, che non è difficile prevedere darà luogo all’ennesima trafila di ricorsi, ultima di quelle trafile che, per colpa per lo più delle stesse agenzie, non permettono a queste ultime da lustri di concludere validamente un concorso per dirigenti, con danni al buon andamento degli uffici e vani, ingenti esborsi finanziari.

Da ultimo non possono sottacersi tre aspetti che riguardano gli interessi collettivi. Il primo: la corretta esecuzione di un concorso pubblico il più aperto e concorrenziale possibile è la migliore garanzia dell’indipendenza dei vincitori dalle pressioni politiche e da quelle interne che potrebbero giungergli nel corso del loro servizio, a tutela prima di tutto della cittadinanza (e, in questo caso, dei contribuenti). Il secondo: porre delle barriere all’ingresso per l’accesso alle posizioni dirigenziali, favorendo direttamente o indirettamente il personale già interno e di norma ben più anziano, inibisce parte delle opportunità offerte all’esterno alla platea di giovani laureati, più preparati e più propensi all’innovazione, anche digitale, ed ai rapporti internazionali. Il terzo: il meccanismo fiduciario sinora utilizzato nelle agenzie ha di fatto impedito l’accesso generalizzato alle posizioni dell’organizzazione centrale, occupate dagli incaricati, da parte dei dirigenti di ruolo provenienti da concorsi più aperti e combattuti, in potenziale più capaci di rispondere alle esigenze di trasformazione delle amministrazioni, fatto che la sanatoria in previsione cristallizzerà e renderà irrisarcibile e irrimediabile.

(*) Energie per l’Italia

Aggiornato il 28 dicembre 2017 alle ore 12:41