Liberalizzazioni: ciò che si vede e ciò che non si vede

L’indice delle liberalizzazioni, il rapporto che alla fine di ogni anno l’Istituto Bruno Leoni pubblica per verificare il grado di apertura dei mercati in settori tradizionalmente sottoposti a una forte regolamentazione (servizi a rete, lavoro, assicurazioni, etc.), mostra un mercato italiano relativamente aperto e in lento ma costante miglioramento. Da tre anni, da quando cioè l’Indice viene costruito sull’Europa a 28, l’Italia è passata dalla 13esima posizione alla sesta e ora all’ottava su 28. Gli indici e le classificazioni scontano inevitabilmente una serie di semplificazioni. In particolare, il loro dato sintetico finale contiene in sé una serie di condizioni molto diverse. Quello che si può leggere e interpretare dall’Indice, è disponibile nel rapporto stesso.

Ci sono elementi che, tuttavia, l’Indice non può cogliere. Esso guarda ad alcuni settori dell’economia, quelli dove la presenza dello Stato, e come imprenditore e come regolatore, è stata sempre pervasiva e che proprio grazie alle direttive europee hanno subito uno stimolo sistematico alla concorrenza. Tuttavia, non guarda, e non vuole guardare, ai micro-aspetti della quotidianità del mercato, quelli che impongono ad esempio per legge il periodo dei saldi, o il tetto agli sconti sui libri, o gli obblighi di insegna ai negozi, o i minimi tariffari (ora tornati di moda). E, anche nei settori indagati, per necessità svolge un’indagine “macro”, dalla cui prospettiva è difficile catturare una serie di elementi attuativi delle riforme introdotte obtorto collo. Vincoli e aspetti spesso così specifici da essere difficilmente rilevabili in un’indagine comparativa sulla libertà di impresa. Eppure, sono questi aspetti quelli che vivono quotidianamente sia gli operatori sia i consumatori, e che creano anche la cultura economica di un Paese.

Per questo, l’Indice delle liberalizzazioni quest’anno ha voluto dedicare un saggio introduttivo all’economia delle piattaforme on-line: quella che può cambiare (e in alcuni casi sta già cambiando) la vita di ognuno di noi e che però ogni giorno deve sopravvivere a vecchi e nuovi lacci regolatori. La paura del progresso è comprensibile, ma un Paese che la istituzionalizza finisce per condannare se stesso al declino.

Aggiornato il 07 dicembre 2017 alle ore 09:36