Legge sullo spettacolo dal vivo: se non è pubblica, non è cultura

La nuova legge sullo spettacolo dal vivo è stata approvata la scorsa settimana. Il Governo l’ha subito esibita come l’ennesimo successo: “Un altro impegno mantenuto: dopo la nuova legge sul cinema ora la nuova legge sullo spettacolo attesa anch’essa da anni e anni”.

In realtà la parte più corposa e rilevante della norma riguarda la delega data al Governo per coordinare e riformare la legislazione relativa a Fondazioni liriche, teatro, musica, danza, ecc.. La creazione di un “Codice dello spettacolo” è sicuramente importante, per riordinare e accentrare in un unico documento la grande varietà di norme che si sono succedute nel corso di decenni. Ma non si va oltre le intenzioni. Entro dodici mesi il Governo dovrà varare uno o più decreti legislativi per arrivare alla realizzazione di questo “Testo unico”. La legislatura è agli sgoccioli e l’iter complesso, è quindi probabile che una maggioranza di un altro colore politico non sia intenzionata a darvi seguito.

Stupisce poi che per l’ennesima volta ci si proponga di mettere mano alle norme riguardanti le Fondazioni liriche. La loro storia è stata caratterizzata dai continui tentativi della mano pubblica per raddrizzarne l’andamento claudicante. Nessuno di questi è stato risolutivo e le indicazioni fornite nella legge si muovono in continuità con quanto già tentato. Meglio sarebbe rinunciare a pensare che tutti i teatri d’opera siano uguali e consentire che ciascuna fondazione provi ad adattarsi autonomamente al proprio contesto. La nuova legge allarga poi il perimetro del sostegno statale, di cui beneficeranno così anche le attività musicali popolari contemporanee e le rievocazioni e i carnevali storici. Tutte degnissime iniziative, ma c’è bisogno di presentarne il conto al contribuente?

Più si allarga il raggio dell’intervento pubblico e più è evidente come esso non si ispira a principi chiari. Ormai sembra quasi che il sostegno statale sia imprescindibile per elevare il rango dell’attività oggetto dell’intervento: se ricade dentro a questo perimetro può considerarsi un’attività culturale, se ne rimane fuori non la è. Crescono anche gli stanziamenti: la nuova legge aumenta la dotazione del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) nei prossimi tre anni. E si dilata anche l’apparato burocratico. La legge sancisce la nascita del Consiglio superiore dello spettacolo.

Infine, allarga la platea dei beneficiari dell’Art Bonus, un meccanismo che attraverso la leva fiscale incentiva le erogazioni liberali, nato per far affluire nuove risorse per il patrimonio culturale e che è stato esteso anche al mondo dello spettacolo. Il ricorso ai benefici fiscali è sicuramente uno strumento preferibile all’intervento pubblico diretto, ma andrebbe inteso come sostitutivo di quest’ultimo e come tale ricalibrato e applicato a tutto il vasto mondo della cultura, senza eccezioni. Operazione impossibile, però, se tutto ciò che viene pensato, sostenuto e realizzato dai privati, per quanto volenterosi, per definizione non è “cultura”.

Aggiornato il 14 novembre 2017 alle ore 21:56