Una riforma organica del sistema fiscale

Il dibattito acceso, soprattutto negli ultimi tempi, e le varie proposte in merito al sistema di tassazione delle persone fisiche e delle imprese confermano che non è più rinviabile una rivisitazione organica del sistema fiscale italiano in quanto esso è uno dei più complessi, incerti e iniqui tra quelli esistenti nei paesi industrializzati.

Il sistema fiscale è ancora legato alla buona “Riforma Visentini degli anni 70” le cui norme, però, nel corso degli anni, sono state stravolte da provvedimenti spesso frettolosi e disarticolati che hanno arrecato sostanziali disuguaglianze tra i contribuenti (persone fisiche e imprese) con specifico riferimento all’imposizione effettiva tra le diverse categorie di reddito. Ciò ha creato sfiducia dei contribuenti verso lo Stato provocando evasione, elusione e anche “fuga” verso paesi esteri dove il sistema è meno opprimente e più equo (per esempio, pensionati e imprese).

È da rilevare che la superproduzione di norme, le costanti modifiche e l’incertezza di interpretazione delle stesse coinvolgono la stessa Amministrazione Finanziaria, la quale si vede costretta a interpretare e adeguare le proprie regole di comportamento con una dispendiosa opera di riconversione culturale del personale addetto al controllo e all’accertamento. L’incertezza della normativa coinvolge anche i Giudici tributari, i quali, trovando difficoltà a interpretare correttamente le norme, emettono giudizi contrastanti con il conseguente aumento del contenzioso (tra i più alti del mondo) incidendo, in termini di costo, sul bilancio pubblico.

Per quanto sopra accennato si rende necessario intervenire per modificare il nostro sistema fiscale e, considerato che tutti sono d’accordo, si è acceso un dibattito su come fare per semplificare, ridurre la tassazione e rendere più certe le norme fiscali.  

Nel merito, l’attuale dibattito si è incentrato principalmente sulla proposta di improntare un sistema di tassazione basato su un’aliquota unica, cosiddetta Flat tax (imposta fissa o imposta piatta), che è un’imposta proporzionale sul reddito applicabile sia alle persone fisiche che giuridiche.

Il principale obiettivo che i sostenitori della Flat tax ritengono di raggiungere è quello di rendere più semplice, affidabile ed equo il nostro sistema fiscale attraverso una sostanziale riduzione del meccanismo di calcolo delle imposte sui redditi. 

È da osservare che la proposta della Flat tax, mentre da un lato è pienamente condivisibile in quanto semplifica l’attuale sistema fiscale, dall’altro tiene poco conto dei fondamentali principi, dettati dalla Costituzione negli articoli 2 e 53.

È noto che la nostra Costituzione garantisce i diritti fondamentali dell’uomo, tra cui l’universalità dei diritti umani, il rapporto stretto tra diritti e doveri di solidarietà, l’eguaglianza non solo nel senso formale della “legge è uguale per tutti”, ma anche nel senso sostanziale cioè “del compito della Repubblica” di rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

È da tali principi che deriva la “Repubblica fondata sul lavoro”, intendendo per lavoro il contributo che ciascuno, secondo le proprie possibilità, deve dare al progresso della società. E’ principio irrinunciabile e sacrosanto che tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della rispettiva capacità contributiva in un sistema informato a criteri di progressività (art. 53 della Costituzione).

Ritornando sulla proposta della Flat tax, cioè della tassazione ad aliquota costante (15 o 25 per cento che sia), indipendentemente da reddito e consumo, essa, se da un lato ha sicuramente la caratteristica di semplificare il sistema fiscale, dall’altro ne limita la progressività con forti agevolazioni alle classi più ricche a danno di quelle più povere. Ciò è anche vero che potrebbe essere attenuato con un sistema calibrato di deduzioni e detrazioni per il nucleo familiare, nonché di sussidi per gli incapienti come già attuato dal Governo. Però, di fatto, il sistema fiscale diverrebbe più complicato e creerebbe comunque sostanziali disuguaglianze tra i contribuenti.

È da riconoscere che, benché la Costituzione preveda la progressività e l’eguaglianza di tassazione tra i contribuenti, l’attuale sistema fiscale con le sue norme crea disparità di trattamento tra i contribuenti a seconda dei redditi disponibili. 

È pertanto giunto il momento di un ripensamento dell’attuale modello di tassazione dei redditi delle famiglie e delle imprese compiendo scelte, ormai non più rinviabili, di semplificazione, e riduzione della insostenibile pressione fiscale e anche di una rivisitazione della burocrazia amministrativa.

In attesa della radicale riforma del sistema fiscale, con la riscrittura dei Testi Unici delle Imposte sia dirette che indirette, si potrebbe procedere a ridurre il numero delle aliquote Irpef dalle attuali 5 a 3, tassando al 18 per cento i redditi sino a 20mila euro, quelli superiori e fino a 60mila euro al 32 per cento, oltre i 60mila euro ad aliquota del 38 per cento (lavoratori dipendenti e pensionati, lavoratori autonomi e società di persone).

Al fine di adeguare il prelievo alla situazione personale del contribuente, l’imposta lorda verrà applicata su una base imponibile al netto di tutte le deduzioni attualmente esistenti.

In particolare, per quanto concerne i redditi da pensioni (di vecchiaia, di anzianità di invalidità, ecc.) essi non devono essere cumulati con qualsiasi altro tipo di reddito (da lavoro, da locazioni di immobili ecc.) e stabilendo, per fini semplificativi, un’area esente uguale per tutti (under 75 e over 75) pari a 10mila euro (No tax area).  

Per quanto concerne le imprese è, in primis, da rilevare che sono esse che generano reddito e soprattutto occupazione. Pertanto bisogna elaborare misure atte ad abbassare l’attuale livello di pressione fiscale, il cosiddetto “Total Tax-Rate” che attualmente si attesta al 62 per cento ed è uno dei più alti in Europa e del mondo industrializzato.  Inoltre occorre dare un quadro di certezze normative a chi vuole intraprendere un’attività d’impresa. Il fatto che gli investimenti esteri in Italia siano molto ridotti deriva anche da tale carenza.

Per rendere competitive le imprese italiane è opportuno ridurre l’attuale aliquota Ires dal 24 al 22 per cento, eliminare completamente l’imposta Irap e rendere completamente deducibili gli interessi passivi, oggi limitati a una misura del 30 per cento del risultato operativo lordo.

In tal modo si darebbe alle Imprese l’incentivo a chiedere alle banche maggiori finanziamenti ai fini di incrementare gli investimenti e l’occupazione, con effetti su una maggiore ripresa del ciclo economico già in atto. 

Inoltre, nel contesto economico attuale è buona cosa favorire le imprese che si sono avvalse dei processi di risanamento (art. 67, 182-bis, 182-ter, 160 Legge Fallimentare e Legge Marzano), con una riduzione dell’aliquota Ires al 20 per cento a patto che tali processi vengano portati a termine non solo per ottenere dilazioni o falcidiare i relativi debiti ma soprattutto per creare un effettivo vantaggio di ripristino dell’attività economica.  

È da osservare che al fine di contribuire a superare la pesante crisi economica e finanziaria che ha investito il nostro Paese è fondamentale essere vicini alle imprese (soprattutto le piccole che superano l’80 per cento dell’ossatura del nostro sistema economico) per sostenerle negli investimenti.

Per raggiungere tale obiettivo la strategia tributaria non deve essere vessatoria e si deve istaurare un buon rapporto tra amministrazione finanziaria e imprese, in modo da creare quel clima di fiducia tale che le stesse siano motivate a investire sempre di più e a pagare con serenità le imposte dovute.

Per concludere, per far ripartire efficacemente la nostra economia è urgente revisionare il nostro sistema fiscale in modo da dare più certezza e affidabilità alle regole esistenti.

Bisogna urgentemente partire da una riduzione della pressione fiscale su tutti i contribuenti e procedere a una integrale riscrittura dei Testi Unici delle imposte dirette e indirette. In sostanza, creare un vero e proprio “Codice Tributario” omnicomprensivo, formato da una parte generale e da parti speciali relative alle singole imposte e altri aspetti collegati (codificazione su due livelli), in modo da garantire, anche sul piano comunitario, la coerenza e la stabilità del sistema.

L’adozione di una codificazione a “due livelli” garantirebbe inoltre che i Principi dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000) assurgano a livello di disposizioni preliminari, acquisendo, in tal modo, una forza giuridica tale da incidere direttamente sull’attività legislativa.

 (*) Presidente dell’Istituto per il Governo Societario e della Fondazione Accademia Romana di Ragioneria

Aggiornato il 10 novembre 2017 alle ore 21:01