Crescita/occupazione: bugie e verità

C’è un tempo per mentire e un c’è un tempo per dire la verità. Per mesi il governo ha raccontato una storia bella e rassicurante sulla crescita economica alla quale sarebbe agganciata la ripresa dell’occupazione. Lo ha fatto servendosi di una lettura a dir poco generosa dei dati forniti dall’Inps e dall’Istat. Ma non era la verità. Gli italiani lo hanno sempre saputo tant’è che agli annunci roboanti degli esponenti del governo e della maggioranza che lo sostiene non ha corrisposto, nei sondaggi, un aumento della fiducia degli elettori nei partiti del centrosinistra.

Si è detto che il miglioramento c’era nei numeri ma non veniva percepito dalla popolazione. Una balla stratosferica. Come nel caso della sicurezza: i reati diminuiscono nelle statistiche ma la gente ha paura lo stesso. Come le temperature nelle estati torride: 30 gradi al suolo, ma 40 quelli percepiti. La politica, particolarmente quella di sinistra, è stata astuta a inventarsi la categoria concettuale della percezione negativa per confutare a proprio vantaggio la realtà fattuale. È una tecnica che funziona nel breve periodo, almeno fin quando non arriva qualcuno a far pace con la verità.

Oggi è la volta della Banca centrale europea raccontare come stanno le cose. Il bollettino economico n.6/2017, pubblicato in settembre, che analizza lo stato dell’economia e della moneta comune, conferma che “le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate dagli esperti della Bce nel settembre 2017 prevedono una crescita del Prodotto interno lordo in termini reali del 2,2 per cento nel 2017, dell’1,8 per cento nel 2018 e dell’1,7 per cento nel 2019”.

Mettendo da parte il pollo di Trilussa, dobbiamo constatare che il nostro Paese è pesantemente sotto la media. Ciò vuol dire che la robusta dinamica espansiva prevista su orizzonti ravvicinati dagli indicatori congiunturali non investe il nostro sistema produttivo. Almeno non quanto dovrebbe per poter convincere le istituzioni comunitarie che anche l’Italia si sia definitivamente lasciata alle spalle la fase della grande recessione. Se è vero che la crescita del Pil in termini reali è sostenuta in prevalenza dalla domanda interna e che “i consumi privati sono sospinti dagli incrementi dell’occupazione”, da noi questo meccanismo virtuoso si è inceppato. Perché? Gli entusiasti di professione dicono che, dati alla mano, il tasso di disoccupazione scende mentre aumenta l’occupazione. Mentono? Non proprio. E solo che raccontano una storia diversamente falsa.

L’Inps, nei primi sette mesi del 2017, nel settore privato, ha registrato un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +1.073.000. Peccato però che il maggior aumento rispetto allo scorso anno sia sostenuto non da occupazione permanente ma da contratti a tempo determinato (+501.000, inclusi i contratti stagionali) o di apprendistato (+52.000). Ora, anche le pietre sanno che, sul lato della domanda interna, il lavoro precario non riesce a incidere significativamente come occorrerebbe. Se poi si considera, su lato dell’offerta di lavoro, l’aumento di manodopera straniera proveniente dai Paesi dell’est di recente entrati nell’Ue, si comprende del perché la crescita non riesca a incidere sulla ricchezza complessiva delle famiglie. Al contrario, come attesta l’analisi della Bce, “le pressioni interne sui costi, derivanti in particolare dai mercati del lavoro, sono tuttora contenute”.

La smettessero, dunque, dalle parti di Palazzo Chigi e del Nazareno di dire che si sta meglio perché ci sono più posti di lavoro. L’asciutta contabilità dei numeri in questo caso non funziona. Si cresce se c’è più lavoro stabile e sufficientemente retribuito. Ci vuole una gran faccia di bronzo per dire a un giovane che la sua vita ha subìto una svolta in positivo solo per il fatto che ha “conquistato” un contratto di lavoro a tempo due/tre mesi e a paga netta mensile di 400/500 euro. Si abbia almeno il pudore di chiamare le cose con il loro nome: una toppa è una toppa e non un ricamo fiorentino. Si vuole seriamente riattivare il ciclo economico? Allora si lavori alla ripresa dei consumi. Per farlo occorre che vi sia occupazione nel settore privato che sia di qualità e ragionevolmente stabile. Non lo sfruttamento illimitato del capitale umano ma neanche grandi infornate di assunzioni a pioggia nella Pubblica amministrazione.

La sola ricetta possibile è coniugare la crescita economica con il miglioramento della qualità della vita delle persone e delle famiglie. Tutto il resto è merce avariata buona per campagne elettorali ingannevoli. Non è così, signor Renzi?

Aggiornato il 23 settembre 2017 alle ore 10:43