Italia-Francia: scontro su cantieri e tlc

Italia e Francia si fronteggiano per risolvere due intricate matasse politiche e industriali: lo sviluppo dei cantieri navali e quello delle telecomunicazioni. Da una parte Fincantieri, oggi Leonardo, che ha intenzione di acquistare il controllo dei cantieri navali Saint-Nazaire (operazione bloccata da Emmanuel Macron ricorrendo ad una nazionalizzazione temporanea) e dall’altra Vivendi che attraverso la maggioranza in Tim al 23,94 per cento di ex Telecom e forte del 29,9 per cento di azioni in Mediaset ha l’obiettivo di costituire un gruppo di media, con baricentro nel Mediterraneo, per competere con le “big” del settore delle telecomunicazioni e della tivù. La soluzione che comporta scelte strategiche nei due settori è complicata da alcune rilevanze di ordine militare e della sicurezza dei due Paesi. I francesi nella riunione di giovedì sui conti della semestrale (ricavi a 5.440 miliardi di euro ma calo di 176 milioni di utile netto) hanno insistito sulla tesi di non avere il controllo di Tim e che quindi non ricorrono i termini perché il governo italiano possa ricorrere alle norme speciali del “golden power”.

Per capire lo scenario occorre tornare indietro a quando il presidente francese François Hollande firmò gli accordi che permettevano alla Fincantieri di avere una maggioranza relativa della società dei cantieri navali, tenendo fuori dall’intesa il colosso della cantieristica militare, la Naval Groups. Ora invece il nuovo presidente, Emmanuel Macron, e il suo ministro Bruno La Maire sembrano disponibili a chiudere un accordo con l’Italia per consentire la costruzione del progetto dell’Airbus dei mari con partecipazioni paritarie ma presidenza del Consiglio d’Amministrazione e direttore generale all’Italia. Alla realizzazione di una grande industria navale franco-italiana stanno lavorando intensamente i dicasteri dei due governi. Il dossier dovrebbe essere pronto per l’11 settembre, data del vertice Padoan-Calenda con Le Maire, con l’obiettivo di portarlo perfezionato al tavolo del vertice del 27 settembre tra il premier Paolo Gentiloni e Macron. Per le telecomunicazioni l’operazione sarebbe inversa con preminenza francese dal momento che Vivendi vanta il 23,94 per cento delle azioni Tim.

La discussione e le divergenze nascono dall’accertamento, se il bretone Vincent Bolloré con le sue ultime prese di posizioni ha ottenuto il controllo di fatto dell’ex società monopolista italiana. I francesi sostengono che l’acquisita “direzione e coordinamento” della società non intacca i principi del codice civile e del testo unico della finanza. Dietro il parere degli esperti Sabino Cassese e Andrea Zoppini (inviato a Palazzo Chigi) Vivendi sostiene che la sua posizione non è sufficiente a garantire ad esso di esercitare, su base stabile, un’influenza dominante sulle assemblee. Un argomento flebile perché il resto dell’azionariato di Tim è composto da piccoli investitori italiani e stranieri legati all’azionista di maggioranza. Palazzo Chigi, Consob e Antitrust sostengono che i francesi avrebbero dovuto comunicare l’avvenuta variazione di gestione. Non avendola fatta sarebbero suscettibili di una multa di circa 300 milioni di euro. La vicenda si complica dal momento che Vivendi è una società privata dell’Unione europea.

Dietro lo scontro c’è altro. C’è la questione della società Sparkle controllata da Tim. È con questa che scatta il problema delicato della sicurezza di un’azienda strategica che possiede 560 chilometri di cavi sottomarini in cui passa gran parte del traffico di comunicazioni e dati sensibili del Mediterraneo, compresi quelli militari e quelli con un Paese come Israele al centro di tensioni terroristiche internazionali. Sarà possibile portare al vertice di Lione del 27 settembre tra Roma e Parigi anche il dossier Vivendi-Palazzo Chigi? Sparkle è una società strategica che fattura 1,4 miliardi, ha 61mila dipendenti italiani e vale circa il 7 per cento del fatturato Tim che in Borsa capitalizza oltre 12 miliardi di euro. La rete telefonica è senza dubbio strategica anche per gli scambi militari. Il baricentro si trova in Sicilia dove passano 12 dei 16 cavi internazionali sottomarini e dove si trovano i server di Google per i traffici con i Paesi del Mediterraneo. Le ipotesi di soluzione sono allo studio dopo la costituzione di un apposito comitato guidato dal vice segretario generale di Palazzo Chigi, Luigi Fiorentino. Il problema è politico oltre che economico. Dietro l’angolo ci sono poi la questione della banda extra larga e dei diritti televisivi del calcio, settori in cui i francesi avanzano altri interessi.

Aggiornato il 06 settembre 2017 alle ore 10:50