Flat Tax? Meglio la “corporate tax”: ecco la nostra proposta

Mentre la crisi economica che ha attanagliato il nostro Paese per anni sembra appena cominciare ad allentarsi, si affacciano nuove proposte in materia fiscale. Una di queste, assai discussa in queste settimane, prevede l’introduzione della cosiddetta flat tax, un’aliquota unica che sostituisca quella applicata non solo all’imposta sui redditi delle persone fisiche ma anche su numerosi altri tributi. Una proposta molto suggestiva, ma di certo non nuova, se ne parla da 25 anni.

La nostra è una proposta differente. Noi partiamo dall’assunto che sia necessario distinguere, in Italia, tra contribuenti che concretamente producono Pil e tutti i restanti cittadini che – pur non volendo noi negarne in maniera aprioristica altri meriti e capacità – non corrono un sostanziale rischio d’impresa, non si confrontano con la dura realtà del mercato, non sono minacciati dal fallimento e della perdita di lavoro da un giorno all’altro. L’ipotesi è dunque quella di fare una distinzione, a parità di reddito, tra chi per produrlo sopporta un rischio, e tutti i restanti soggetti.

In sintesi, l’idea di massima – da approfondire e sviluppare – è quella di rivoluzionare il sistema tributario italiano, ma in modo diverso da come propongono altri. Proponiamo di sostituire l’attuale sistema di tassazione delle imprese con l’introduzione di una nuova imposta, che interessi con le stesse modalità, e con la medesima aliquota, tutte le società di capitali attualmente soggette all’Ires, ma anche i redditi personali che derivano da ogni tipo di attività produttiva privata: in estrema sintesi, desideriamo che tutti i professionisti a Partita Iva, lavoratori autonomi, quale che sia l’attività esercitata, siano inglobati in un’unica imposta sulle attività produttive – potremmo chiamarla Iap, ma sono solo ipotesi – che gravi sui relativi redditi con un’aliquota unica che proponiamo di fissare al 15 per cento.

Per contro, ogni altra tipologia di reddito personale, che sia da pensione, da lavoro dipendente – senza distinzione tra pubblico e privato – o di altro tipo, concordiamo sul fatto che debba assoggettata anch’essa ad un’aliquota unica, che però a nostro avviso deve essere fissata intorno al 25 per cento, fatta salva una soglia minima di esenzione (con forme di integrazione, nel senso di “imposta negativa”, per coloro che si collocano al di sotto: ma tale integrazione deve diventare sostitutiva di interventi pubblici di tipo clientelare). Da questo punto di vista, intendiamo operare una mediazione tra le proposte formulate da ambienti a noi vicini e quelle che vanno attualmente per la maggiore, e che invocano l’adozione di una flat tax al 25 per cento del tutto indifferenziata per ogni tipo e per ogni livello di reddito.

Siamo consapevoli che la nostra proposta, così come del resto quella della flat tax indiscriminata, si prestano ad attacchi, soprattutto sotto il profilo della conformità con i principi della progressività e della capacità contributiva. A tal proposito, noi riteniamo che anche la prima parte della Costituzione, anziché essere santificata, pietrificata e definita non modificabile, dovrebbe invece essere modificata nel senso, tra l’altro, di un riconoscimento maggiore per la libertà d’impresa, il rischio, il merito individuale. Ma a parte questioni costituzionali che dovrebbero essere oggetto di altra riflessione e di altro impegno, nello sforzo di mediazione che stiamo compiendo intendiamo non esasperare oltre lo stretto necessario la differenziazione tra diverse categorie di reddito, proprio perché una scelta di questo tipo rischia di accentuare oltre ogni misura le accuse di incostituzionalità e anche di insensibilità sociale che ci possono essere mosse, anche di natura pretestuosa. Occorre riconoscere che, sulle vigenti premesse costituzionali, insieme a un’opinione assai diffusa e fondata su pregiudizi, è già difficile far passare l’idea di una diversa incidenza fiscale a parità di reddito, ciò che però si giustifica in base ai nostri argomenti.

Naturalmente, può ben accadere che una stessa persona, a titolo professionale, percepisca redditi di natura diversa, ad esempio che una parte di questi sia prodotta dalla richiesta che viene dal mercato, da soggetti privati in un ambito di libera concorrenza, e che un’altra parte derivi legittimamente da incarichi della più varia natura conferiti dalla pubblica amministrazione. In questo caso, specie ove questi ultimi siano dati ad affidamento privato e non in base a una chiara e trasparente evidenza pubblica, sarà necessario operare una differenziazione di trattamento e prevedere che ciascun tipo di reddito sia tassato, sempre secondo l’entità sopra richiamata, in base alla diversa propria provenienza. Si dirà che questo può comportare una complicazione; ma a ben vedere una tale minima complicazione viene, e abbondantemente, più che compensata dalla semplificazione complessiva del sistema che noi intendiamo introdurre.

D’altra parte, anche per quanto attiene ai lavoratori dipendenti, pubblici e soprattutto privati, sarebbe opportuno introdurre un’innovazione, che da lungo tempo era stata invocata ma che ci si è sempre ostinati a voler negare ai cittadini italiani (per ragioni che ci sono perfettamente chiare, e che non per questo, però, sono più condivisibili). Siamo fautori dell’abolizione – graduale, se si vuole – dei meccanismi che fungono da sostituto d’imposta, in modo che i lavoratori dipendenti si vedano corrisposto l’intero ammontare lordo del rispettivo compenso, e si facciano carico personalmente di versare le relative imposte. Contrariamente a quanto affermano i nostri avversari, ha sempre un altissimo valore educativo che i contribuenti siano indotti a conoscere i costi reali dello Stato, del parastato e in generale della pubblica amministrazione in rapporto alla propria retribuzione.

Accanto a tutto questo, vogliamo mantenere ancora viva l’attenzione sulle nostre precedenti proposte, anche in forma di iniziative legislative già in parte presentate in Parlamento. Ci riferiamo:

a) all’abolizione dell’ingiusto principio legislativo del solve et repete, che di fatto considera il contribuente “colpevole” prima ancora di un effettivo accertamento delle proprie responsabilità ad opera del giudice tributario;

b) all’esonero di tutti i contribuenti produttivi dall’obbligo di iscrizione all’Inps, che pretende contribuzioni esose in cambio di nessuna garanzia previdenziale per il futuro – specie per i lavoratori privati giovani e a scarso reddito – e sostituzione di tale iscrizione con l’obbligo di scelta in merito alla propria previdenza, con libera adesione a offerte anche provenienti dal privato.

(*) Presidente Sos Partita Iva

Aggiornato il 31 agosto 2017 alle ore 10:52