L’elefante nelle stanze del governo italiano

Dal 2010, ogni tre secondi l’orologio del debito pubblico dell’Istituto Bruno Leoni offre una patente e impressionante grafica dell’ammontare del debito italiano.

Quando lo abbiamo inaugurato, il debito, che non ha mai smesso di aumentare, era di 30mila euro per ogni italiano, compresi i neonati. Oggi, dopo sette anni, è di più di 37mila euro.

In un Paese in cui del rimandare i problemi si è fatta un’arte, il debito pubblico è il convitato di pietra alla mensa delle emergenze prevedibili.

I dati forniti pochi giorni fa dalla Banca d’Italia, che registrano un livello di debito mai raggiunto prima (2.281 miliardi di euro) non sono una sorpresa. E come tale è probabile che non sortiranno alcun effetto sulle scelte di governo.

Continueremo a sentirci dire che se l’economia non riparte è colpa dell’austerità europea, che la prossima manovra finanziaria dovrà stimolare la crescita (senza badare alla spesa), che è solo grazie al deficit contratto negli ultimi due anni che c’è stata una ripresa (di uno zero virgola), trascurando di valutare a quale prezzo. L’aumento costante del debito pubblico ci dice proprio quale è il prezzo della irresponsabilità con cui chi governa gestisce soldi non suoi.

Cinque anni fa, per mettere un freno a questa irresponsabilità la Costituzione venne modificata per accogliere il principio dell’equilibrio di bilancio: lo Stato non avrebbe più potuto spendere senza tenere d’occhio quanti soldi avesse. Il principio è stato disconosciuto prima ancora che divenisse operativo, diventando uno dei tanti segni con cui dovremmo comprendere quanta sconsideratezza circola nei corridoi dei governi.

Arriverà l’autunno con una manovra finanziaria pre-elettorale, un altro presagio che l’emergenza primaria del debito pubblico continuerà a non avvistarsi nei radar della politica.

Aggiornato il 28 agosto 2017 alle ore 14:47