Sulla crescita un’ipocrita allegria

A parte la singolarità del fatto che con l’avvicinarsi delle elezioni gli enti di Stato facciano a gara per diffondere notizie da “ricchi premi e cotillon”, il nodo è tutt’altro. Tutt’altro, perché si insiste nel voler far credere che basti la crescita, posto che sia, per risolvere il male del Paese, ma non è così. Quando una vasca è bucata, infatti, pensare di risolvere il problema del livello, aumentando solo il flusso dell’acqua entrante è da ipocriti. È un vizio antico del sinistra-pensiero, che lo utilizza, alternativamente, con la fiscalità e con la crescita. I postcomunisti, infatti, a seconda dei casi, quando c’è crisi e i nodi arrivano al pettine, iniziano con il tormentone della crescita e delle tasse come unica medicina salvifica.

Parliamo, ovviamente, di quei nodi antichi che hanno devastato il Paese così tanto da renderlo cachettico. Ora è noto che la cachessia testimoni una condizione di indebolimento tale da non poter essere risolta con il solo aumento della nutrizione, nel senso che, pur fornendo calorie aggiuntive, la patologia persiste e non migliora. Insomma, per farla breve, quando una vasca è bucata ovunque o la ripari per bene oppure la sostituisci, altrimenti non c’è acqua che tenga. Questo elementare principio di buon senso economico è estraneo al cattocomunista-pensiero, che, per insopportabile ipocrisia, fa finta di non conoscere.

Ecco perché, quando la devastazione dei conti, l’enormità di un debito sempre crescente, la mancanza di lavoro e la protesta sociale arrivano a livelli di guardia, esce fuori, con regolarità, la questione della crescita. Inizia, cioè, quell’ipocrita ritornello della poca crescita, della redistribuzione, dell’evasione, della scarsità del flusso di entrate che, se aumentasse, risolverebbe tutto. Sia chiaro, anzi molto chiaro, la crescita è necessaria come è necessaria la lotta all’evasione. Parliamo, infatti, di variabili fondamentali per l’equilibrio dei conti pubblici e del sistema.

Ma di qui a voler far credere che tutto dipenda da loro, è falso, fuorviante, demagogico. Il principio delle mani bucate infatti, ci insegna che non c’è ricchezza che tenga nella tasche di chi spreca, sperpera, dilapida, dissipa e regala le risorse disponibili. Insomma, se aumenta il flusso delle entrate e quello delle uscite fa altrettanto o addirittura peggio, il risultato non potrà che essere il fallimento, il default. Ecco perché in Italia, Governo e classe dirigente al solo accenno di un aumento del Pil, cantano, ipocritamente, vittoria e annunciano benessere e ricchezza per tutti.

Lo fanno, perché solo così prendono tempo. Lo fanno, perché solo così rinnovano le cambiali. Lo fanno, infine, perché solo così c’è un’altra pezza a colori in vista del voto. Del resto, quale migliore suggestione da offrire agli italiani in periodo elettorale, di quella che annunci la ripresa, la svolta, l’arrivo a volontà di agio economico per tutti? Nessuna ovviamente. Ecco perché parliamo di ipocrita allegria.

Perché l’Italia è un colabrodo enorme di spesa pubblica, di debito accumulato dalla mala gestio, di costi per privilegi vergognosi, di uscite per troppi nullafacenti e furbetti di Stato assunti solo per viziare il consenso. L’Italia è un albero storto piegato dalle tasse e cresciuto sul principio cattocomunista dell’assistenza fasulla e improduttiva, anziché quello einaudiano dello sviluppo e della produzione.

Insomma, l’Italia è una vasca bucata che fa acqua ovunque, perché la mala politica ha sempre fatto buchi e per decenni siamo andati avanti sul tassa e spendi, incassa e spreca, incamera e dissipa, guadagna e sciupa. Ecco perché c’è poco da cantare vittoria per la crescita se non si ha il coraggio, la forza e l’onestà di ricostruire come si deve il Paese, per far quadrare i conti e i servizi. Per come siamo messi, o si cambia o si muore.

Aggiornato il 17 luglio 2017 alle ore 22:09