“Avanti” Renzi, sparane un’altra

Una volta c’erano i comunisti. Poi arrivarono i luogocomunisti e infine i venditori di pentole sempre pronti a cazzeggiare su Twitter. A un certo punto, i cazzari di cui sopra, nel timore che la gente si dimenticasse di loro, hanno cominciato a scrivere libri e a spararle grosse ad alzo zero in ogni dove.

È il caso di Matteo Renzi, il massimo esponente del momento, il quale ha pensato bene di lasciare un testo a futura memoria a mo’ di summa teologica delle più grosse boiate in tema di politica interna ed estera: si tratta del suo libro dal titolo “Avanti” – Perché l’Italia non si ferma. Ma, se le parti su Barack Obama che viene dipinto quasi come un fan renziano, il messaggio che la cancelliera Angela Merkel avrebbe inviato alla di lui figlia o la marcia indietro sugli immigrati fanno parte dell’egocentrismo tipico del personaggio, l’intemerata che vorrebbe far salire il deficit al 2,9 per cento del Pil per cinque anni per ridurre le tasse e spingere la crescita, va derubricata alla voce “studentelli bocciati all’esame di economia politica”.

Proprio per questo Pier Carlo Padoan, del quale si potrà non condividere l’impostazione ma non certo metterne in dubbio la competenza, ha subito bollato come non appartenente all’agenda di questo Governo una simile proposta facendo trapelare fastidio per l’uscita pubblica del suo ex Premier. E ha fatto appena in tempo perché di lì a poco sono piovuti dall’Europa fiumi di pernacchie all’indirizzo del Bomba di Rignano sull’Arno a cominciare dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il quale ha dichiarato che la proposta dell’ex premier Matteo Renzi “sarebbe fuori dalle regole del quadro di bilancio”. Ha aggiunto che “non è una decisione che un Paese può prendere da solo” perché “siamo all’interno di una Unione monetaria”. 

Pernacchione a labbra tremule anche dal presidente Jean-Claude Juncker, il quale ha notato con una certa dose di sarcasmo di avere “un rapporto molto buono con il premier Paolo Gentiloni” e che  “i commissari incaricati hanno un rapporto molto buono con il ministro Padoan”, pertanto “non commenta le dichiarazioni di persone fuori dal Governo”.

Renzi è stato snobbato anche dal commissario Ue Pierre Moscovici, responsabile del controllo sui bilanci nazionali, il quale ha ricordato che “l’Italia non può lamentarsi essendo il solo Paese che ha beneficiato di tutta la flessibilità del Patto” e che l’interesse italiano è “continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito, che pesa sulle generazioni future”.

Insomma, una serie infinita di sberleffi ai quali, se permettete, vorremmo aggiungere una nostra personalissima pernacchia tombale: la storia della flessibilità in cambio di investimenti utili a far ripartire l’economia è un vizio tanto antico quanto dannoso. E Renzi ne dovrebbe sapere qualcosa visto che, in cambio della flessibilità utile alle sue mancette da ottanta euro cadauna, ha firmato Triton; quel patto che, in cambio di deficit buono come spazio di manovra per provvedimenti elettorali, ha concesso a tutta la marineria europea (e non solo) di scaricare in Italia ogni immigrato che intendesse avventurarsi in mare alla volta dell’Occidente. La tesi ufficiale, la pezza d’appoggio sulla quale l’allora Presidente del Consiglio ottenne margini di manovra, fu la promessa di riforme: la storia ci insegna che le promesse di riforma poi non si avverano mentre gli sforamenti sono puntuali come un treno del ventennio (e l’onorevole Fiano ci farà finire nelle patrie galere per questa ignobile apologia del fascismo). Dire quindi di aver ottenuto 20 miliardi di flessibilità dall’Europa durante il suo Governo, non dovrebbe essere motivo di vanto per Matteo Renzi ma motivo di preoccupazione per aver creato un buco che non ha generato alcun effetto positivo e quindi, in ultima analisi, da annoverare tra gli inutili ammanchi di cassa che ci porteranno a diventare come l’Africa nonostante gli sbarchi ci abbiano posto già un pezzo avanti.

Volendo inoltre mutuare le tesi del presidente dei deputati  Renato Brunetta, “parlare di veto dell’Italia all’inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei è tutto un bluff, come suo solito; al massimo, quello che l’Italia può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal Fiscal Compact. Restiamo comunque, come Stato dell’Ue, vincolati a tutte le regole del Six Pack e del Two Pack, che rimangono in vigore. L’unico vincolo di cui Renzi si libererebbe sarebbe l’equilibrio di bilancio, se non fosse che lo abbiamo inserito nella nostra Costituzione. Quindi saremmo tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali. Questa è l’analisi corretta e la spiegazione che Renzi continua a non voler capire. Altra cosa è, invece, la necessità che l’Italia apra una riflessione più generale in sede europea per ritornare, come abbiamo avuto occasione di sostenere più volte in Parlamento, al Trattato di Maastricht nella sua versione originale, quella fortemente voluta dall’allora ministro del Tesoro, Guido Carli, sospendendo le successive modifiche, da noi ritenute illegittime, del Six Pack, del Fiscal Compact e del Two Pack. Sarebbe ora di parlare di Europa con competenza e cognizione di causa. In caso contrario si finisce male: derisi e isolati”.

Molto più modestamente, a nostro avviso, sarebbe opportuno smetterla con la storia vagamente keynesiana degli investimenti che generano un effetto moltiplicatore perché, se l’equazione coniata dall’autorevole economista funziona dal punto di vista matematico, dal punto di vista pratico si risolve molto spesso in maggiore spesa pubblica che va ad aumentare deficit e debito generando il nulla dovuto ai frequentissimi errori  nell’appropriatezza degli investimenti. Il risultato? Chiedetelo alle nuove generazioni che si trovano e si troveranno a dover gestire un fardello enorme chiamato debito pubblico generato dai vari Renzi che, succedutisi negli anni, mascheravano lo spreco chiamandolo investimento. Allora, se vogliamo fare i rottamatori, i giovani, gli innovatori abbiamo il coraggio di tenere la barra dritta facendo guerra alla spesa pubblica improduttiva, trovando in questo modo le risorse necessarie alla riduzione della pressione fiscale. Il resto è vecchiume vetero socialista.

Aggiornato il 12 luglio 2017 alle ore 20:59