E il programmato oligopolio compie un passo in avanti

In principio, era il bail-in. Era un mostro sacro, non si poteva che accettarlo (e subirlo), era presentato come la fine di tutti i mali (ora, invece, fanno i saltimbanchi per evitarlo). Da noi, poi, per applicarlo alle famose 4 banche (3 Casse e una Popolare), la trovata di Renzi fu addirittura di anticiparne l’entrata in vigore. In principio, era anche l’aiuto di Stato: persino il Fondo interbancario (tutto di soggetti privati, attenzione) era per l’Europa (o per qualcun altro interessato a creare il disastro delle banche territoriali) un aiuto pubblico non ammesso, anche se l’Europa – al proposito – s’è limitata a mail e telefonate, nessun documento ufficiale, nessuna impugnativa, quell’interpretazione era la benvenuta. Così, le banche private italiane pagarono lo stesso (come avrebbero fatto col Fondo interbancario), ma nessuno lo capì e l’opinione pubblica credette che a metterci i soldi fosse Stato il Governo Renzi. Soprattutto, si riuscì a creare una paura (nei risparmiatori) e un discredito (verso le banche) che ci vorranno decenni per rimettere le cose a posto e ricreare la fiducia (d’altra parte, di continuo ancor oggi compromessa dal tirare avanti crisi per mesi e mesi, prima di risolverle). Grande operazione di distruzione/distrazione di massa.

Ora, però, la musica è completamente cambiata. È cambiata per il Monte dei Paschi di Siena, ed è cambiata per le 2 banche venete. La Commissione Ue, da sempre presentata (e creduta) un blocco unico, s’è divisa, la Vestager – commissaria europea alla concorrenza – ha dovuto difendersi per la soluzione trovata, il bail-in è andato a farsi friggere, la Commissione – o, almeno, la sua maggioranza – è diventata estremamente comprensiva e ragionevole. Lo Stato italiano ha stanziato fondi a dismisura già in dicembre (quando non si capiva a che scopo esattamente lo facesse) e ora li ha usati (e li usa), alla faccia del divieto di aiuti di Stato e alla faccia dell’aumento di un debito pubblico che – anche in questo modo – cresce incessantemente, così come la spesa pubblica. Alla faccia, anche, dell’offerta di 4 hedge fund internazionali, che erano pronti a sborsare 1,6 miliardi in cambio del 15 per cento delle due banche e sulla quale il nostro Pier Carlo Padoan non ha mai dato risposta alcuna. Invece la lunghezza dell’intervento governativo ha continuato a provocare sfiducia nei risparmiatori, creando nuovi rischi per le banche ed i mercati finanziari, al pari di quelli creati dalla politica monetaria di Mario Draghi (che nessun altro risultato, per il resto, ha conseguito: già Friedman, del resto, diceva che i soldi gettati dall’elicottero non sono mai serviti all’economia reale, ma solo alla speculazione internazionale ed alle sue “brame impure”, se vogliamo dirla alla Gabriele D’Annunzio).

Mentre al Senato e alla Camera, dunque, il Partito Democratico di Renzi escludeva rigorosamente dai compiti della Commissione d’inchiesta l’indagine sulla legge contro le Popolari (motivi e risultati: tutte finite in mano alla finanza, europea e non), veniva varata la soluzione (ottima per) Intesa (complimenti vivissimi): una good bank e una bad bank, lo Stato mette 5 miliardi di euro, se ne prende 10 di crediti deteriorati, vende la parte buona a Intesa per un euro (per salvare i correntisti!). “La peggior gestione di una crisi bancaria dal dopoguerra”, ha scritto un’autorità come Angelo De Mattia – già segretario del direttorio – su queste colonne. “Bruxelles ha scherzato, le banche – ha scritto, sempre su queste colonne, Roberto Sommella – le salva lo Stato” (ma solo dalle 4 banche in  poi - le sole cavie - , a cominciare quindi dal politicizzato Mps, per il quale il Governo italiano – ha scritto Padoan su ‘Il Foglio’ – è stato autorizzato ad operare un aumento di capitale precauzionale, vietato invece – guarda un po’ – per altri). E l’attento presidente della Commissione Finanze del Senato, Marino, dal canto suo, ha detto “sì alla mossa d’Intesa, ma ora riscriviamo le norme Ue” (ora, non per le 4 banche). Anche Bersani – dobbiamo dirlo – ha riconosciuto che il Governo Renzi avrebbe dovuto “andare in contenzioso con l’Unione europea, sulla natura del fondo di garanzia a tutela dei consumatori”, per ottenere di poter intervenire sulle 4 banche prima e sulle 2 venete dopo. Invece, s’è fatto ben altro.

Per giustificarsi di questo radicale cambio di rotta, la Vestager ha detto: “Le autorità italiane hanno riconosciuto che c’era una motivazione per un aiuto alla liquidazione delle due venete, per preservare il valore che c’era nelle due banche e per assicurarsi la tutela dei clienti”. Ma queste esigenze, non c’erano forse anche per la madre di tutte le disgrazie, la questione delle 4? Misteri eleusini...

L’atteggiamento del Governo italiano, da Renzi in poi, è stato quanto di meno chiaro si potesse immaginare. Contraddittorio, anche. Forse, le ragioni vere (di questo comportamento, così come della riforma delle Popolari) le chiarirà la magistratura, dato che la Commissione d’inchiesta parlamentare non lo farà di certo (perché non si vuole lasciarglielo fare, e perché non ne avrà comunque il tempo). Ma nell’opinione pubblica si allarga sempre di più il convincimento – da tempo sostenuto su queste colonne da chi scrive, quasi in splendido isolamento – che tutto sia finalizzato a creare in Italia un oligopolio bancario (che, comunque, con la soluzione Intesa di cui s’è detto, ha di certo fatto un altro, grosso passo in avanti). Non ha dubbi, al proposito, l’europarlamentare fittiano Remo Sernagiotto, che ha detto: “La grande operazione Intesa è legata solo ad azzerare la concorrenza bancaria: quattro banche controlleranno l’intero sistema”, aggiungendo subito che, dopo le Popolari, sarà la volta dei crediti cooperativi ed invitando per questo i parlamentari a non votare il decreto legge governativo per Intesa, salvaguardando invece l’esistenza di un’unica banca di territorio per il Veneto.

Sarà quel che sarà. Comunque, alcune cose sono ora già sicure: 1) che l’Unione bancaria risulta un progetto vecchio e stantio, specie perché frustrato dalla disinvoltura interpretativa – come s’è visto – delle regole; 2) che la politica – ma una politica per il bene generale e non per protetti e conventicole – deve riacquistare la sua autorevolezza ed il suo primato oltre che, naturalmente, i suoi compiti, invece da ultimo in gran parte delegati a banchieri d’affari o a banchieri centrali e, per il tramite di regole e regolette, alle interpretazioni che di esse dà la burocrazia di Bruxelles; 3) che l’Europa – dal canto suo – è un “tavolo contrattuale” e basta, al quale comanda chi è organizzato ed è capace (ammesso che lo voglia) di farsi valere.

(*) Presidente Assopopolari

Aggiornato il 07 luglio 2017 alle ore 13:06