Ok agli aiuti di Stato alle banche venete

Via libera dalla Ue all’operazione messa in campo dal Governo italiano per salvare le banche venete. La Commissione europea, ha giudicato gli aiuti di Stato compatibili con le regole, perché non provocano distorsioni della concorrenza. Gli aiuti erano “necessari ad evitare turbolenze economiche nel Veneto”, ha sostenuto il Governo, e la Commissione, ha spiegato la commissaria Margrethe Vestager ha appoggiato l’argomento, convinta che fosse giusto proteggere le oltre 50mila piccole e medie imprese che avrebbero subito i contraccolpi di un fallimento disordinato.

È da diversi mesi che va avanti la trattativa tra il Governo italiano e la Commissione Ue sulle banche venete. Ma è solo da pochi giorni che si è abbandonata l’ipotesi a cui si è lavorato intensamente per due mesi e mezzo, cioè la ricapitalizzazione preventiva, ovvero lo schema adottato per Mps. Per applicarla in questo caso mancavano le condizioni, in particolare mancava la presenza di capitali privati che coprissero le perdite attese. Si è quindi cercata un’altra soluzione, sempre in accordo con Bruxelles che negli ultimi giorni ricordava come anche le regole europee sugli aiuti di Stato abbiano una certa flessibilità. Ovvero, aggirare il bail-in è possibile. Soprattutto se è la stessa Banca centrale europea a stabilire che, nel caso delle venete, la risoluzione non era necessaria perché non c’è “l’interesse pubblico”.

A quel punto scatta automaticamente un altro quadro di riferimento, che si allontana dagli schemi dell’Unione bancaria. Si applica, cioè, la legge nazionale sui fallimenti. La Commissione spiega che, in questo caso, “se uno Stato decide che il sostegno pubblico è necessario a mitigare l’effetto dell’uscita di una banca dal mercato, si applicano le regole sugli aiuti di Stato in particolare la comunicazione bancaria del 2013, che richiede ad azionisti e detentori di debito subordinato di contribuire pienamente ai costi del burden sharing”. Cosa che le autorità italiane hanno assicurato, centrando una delle richieste delle regole Ue. Inoltre, l’intervento deve limitare al massimo le distorsioni della concorrenza.

E anche questo aspetto è stato assicurato: Banca di Vicenza e Veneto Banca usciranno dal mercato, e “le attività ristrutturate saranno significativamente ridimensionate”, la loro presenza sul territorio si ridurrà di oltre il 65%. Solo allora passeranno a Banca Intesa, ma a quel punto non ci saranno rischi per la concorrenza. La soluzione italiana ha poi assicurato che i senior bondholders non debbano contribuire, mentre i depositi restano pienamente protetti in ogni caso. Questo perché si è scelto di applicare uno schema che lascia molta più libertà rispetto alla risoluzione, che avrebbe comportato un burden sharing molto più pesante che avrebbe toccato tutti i detentori di bond e i depositi sopra i 100mila euro. In ogni caso, la risoluzione alla Banco Popular non sarebbe stata possibile: la disastrata condizione delle venete non le rendeva attraenti per nessun acquirente, mentre Banco Popular aveva problemi di liquidità ma era in grado di tornare sul mercato. Quindi l’incentivo a Banca Intesa, nelle considerazioni di Bruxelles, era comunque necessario.

Aggiornato il 26 giugno 2017 alle ore 15:51