La Global Leadership

giovedì 1 giugno 2017


“Global-Leadership” e “Glocal-Leadership”. Ragionando a quattro, Usa, Cina, Russia e Germania, come si collocano i suddetti attori nella distinzione tra potere locale e globale? Chi sta nell’uno e chi nell’altro? Non crediate che le risposte siano poi così scontate. Perché gli Usa non sono più gli incontrastati paladini né della globalizzazione, né dell’interventismo militare planetario. Trump intende drasticamente ridimensionare il ruolo del suo Paese nella Nato, lasciando che la ricca e pavida Europa provveda finalmente a difendersi da sola, mettendo innanzitutto mano al portafoglio. Per la nuova Amministrazione (neopopulista?) americana la globalizzazione è stata un bagno di sangue, per quanto riguarda sia la perdita dei posti di lavoro americani che la delocalizzazione industriale. Lo slogan “America first!” è innanzitutto un grido di dolore, prima che un ragionamento di pancia delle “middle e working classes” statunitensi. E noi, in Italia e Francia, in particolare, questi modernissimi dolori del Giovane Werther globalizzato li conosciamo bene. Ottobre 2017 sarà un mese di svolta per la Triade fondatrice della Comunità europea (oggi denominata Ue, molto più disunita di prima, malgrado l’altisonante acronimo!) in quanto, a elezioni avvenute, da quella data Emmanuel Macron saprà chi saranno i suoi compagni di strada a Roma e Berlino.

Ma il nuovo inquilino dell’Eliseo deve fin d’ora cercare di “contrecarrer” la mossa recente della Merkel che da una birreria di Monaco (ma no: il demoniaco Caporale non sta tornando. E il “Diavolo veste Prada” ma non Frau Kanzlerin, visto lo stile..) ha detto che “Noi” dovremmo fare da soli, senza più contare sugli infidi anglosassoni di Oltremanica e di Oltreoceano. Ecco: ma fare da soli che cosa? Per esempio: la Francia è la sola potenza nucleare residua che sta nella Ue. Macron, quindi, in una Nato europea avrebbe tutto il diritto di reclamarne la leadership. E chi mette i soldi per una difesa comune? I Paesi mediterranei (Francia compresa) con i bilanci più inguaiati di tutto l’Occidente? Paga pegno la Germania da sola? Allora, vista la sua incontrastata dominanza nel nucleare civile, perché non dovrebbe rivedere il suo atteggiamento istituzionale, riarmandosi e accettando di indossare l’elmetto per la difesa esterna della Ue? Se - com’è vero - siamo tutti dei nani, perché non dovremmo affidare lo scettro della nostra Glocal-Leadership alla Kanzlerin, visto che la sua potenza economica fa paura perfino a Trump?

Ma, in tutto questo sconvolgimento, come stanno messi quei due sornioni di Russia e Cina? Sono ancora così nazionalisti (leninisti) nell’animo o hanno mutato pelle - il Dragone e il Serpente - e noi non ce ne siamo accorti? Buona l’ultima, direi. Noi, che riposiamo da tempo sull’illusione dell’eterna “Pax Occidentalis”, non ci siamo minimamente resi conto che la prima è diventata “Glocal”, con la sua politica da vecchia potenza che sogna più le conquiste territoriali rispetto a quelle politiche ed economiche, mentre la seconda è sempre più “Global”, con i motori già caldi del suo apparato intercontinentale, pronta a sostituirsi agli Usa per la difesa dei liberi commerci mondiali. E, mentre la Russia si gongola con i suoi carri armati e missili nucleari che non lancerà mai, l’altra programma su più continenti la costruzione della sua immensa tela di ragno denominata “Belt and Road initiative” che prevede investimenti per trilioni di dollari in mezzo mondo. Macron e Renzi, o chi per lui, farebbero bene a pronunciarsi alla svelta in merito.

In termini concreti (v. “The Guardian” dello scorso 12 maggio), “The Belt and Road initiative”, sorta di moderna “Via della Seta” alla Marco Polo, per sostenere una “Nuova era della Globalizzazione”, si articola in due grandi filoni principali, denominati rispettivamente: “Silk Road Economic Belt” (the belt) “21st Century Maritime Silk Road” (the road). In altri termini, “road’”non significa “strada” ma piuttosto una via marina che collega la costa del Sud della Cina con Est Africa e Mediterraneo. Mentre “belt”, la “cintura”, rappresenta una serie di corridoi via terra che, attraverso l’Asia centrale, uniscono la Cina all’Europa e al Medio Oriente. Il mega progetto rappresenta un’immensa e ambiziosa campagna di investimenti, con cui la Cina intende rilanciare il commercio e stimolare la crescita economica mondiali attraverso l’intera Asia e ben oltre.

Tutto ciò, grazie alla costruzione di un inviluppo massivo di infrastrutture reali e virtuali, destinate a interconnettere le più importanti aree geografiche del mondo, con una spesa annuale di 150 miliardi di dollari per la realizzazione dei vari progetti che comprendono, tra gli altri, la costruzione di: oleodotti e porti in Pakistan; ponti avveniristici in Bangladesh; linee ferrate e treni ad alta velocità che attraversano la Russia, e così via. Pechino, inoltre, sul solo versante pakistano, intende investire 62 miliardi di dollari per la realizzazione di un corridoio economico comune (Cpec), che comprende la costruzione di reti autostradali, centrali elettriche, parchi eolici, impianti industriali e reti ferroviarie destinati a creare localmente almeno un milione di nuovi posti di lavoro. Un altro miliardo di dollari, inoltre, è finalizzato alla costruzione di un porto in Sri Lanka e di una rete ad alta velocità per collegare l’Indonesia a un futuro parco industriale in Cambogia. La fermo qui, per dire che c’è “Chi” (la Cina), come Napoleone - cari Macron e Markel - il bastone da feldmaresciallo lo sta raccogliendo da terra per divenire di fatto il nuovo global-leader che tutti si attendono. A buon intenditor…


di Maurizio Guaitoli