L’inizio della fine

Che l’Europa e l’Euro per come sono siano un fallimento totale, o quasi, è un dato di fatto. L’insistere nel dire “se non ci fosse stato l’Euro” ha creato ormai un ritornello utile a tutto, anzi inutile a tutto.

“Se non ci fosse stato l’Euro” nessuno, ma proprio nessuno, può dirci cosa sarebbe stato, ciò vale per l’Italia come per tutti gli altri Stati membri. Va da sé, infatti, che se allora il nostro Paese (quarta potenza del mondo) si fosse messo di traverso al progetto, nulla sarebbe nato oppure sarebbe nato qualcosa di molto diverso. Dunque, continuare a denunciare scenari catastrofici in assenza dell’Euro, non potendone avere alcuna prova, è un semplice esercizio di retorica, punto. Paragonare poi l’America all’Europa e la storia costituzionale degli States, a quella del nostro continente è altrettanto improbabile.

Non solo si trascurano, partendo da Cristo, millecinquecento anni, ma una serie infinita di condizioni che a volerle collegare manderebbero in default anche il più potente dei calcolatori elettronici. Volendo dunque restare ai fatti, quelli tangibili, perché il mondo è legato al reale e non all’ipotetico, con questa Europa e questa moneta le cose si sono ingarbugliate e peggiorate per tutti tranne che la Germania. Qui non si tratta solo di affrontare il tema delle sovranità, che pure è fondamentale, anche se nei fatti l’unica nazione che non ne ha persa, o quasi, è stata proprio la Germania, si tratta di essere pratici. Essere pratici significa riconoscere che già all’atto della partenza erano chiare le troppe differenze fra i Paesi, economiche, sociali, strutturali e, ovviamente, contabili, tanto è vero che proprio per questo la Germania ha imposto certe condizioni.

Insomma, i tedeschi hanno accettato la partita come quel giocatore che, godendo al Casinò di un fido illimitato, non può perdere per definizione e così è stato. L’Euro è nato sull’impianto del marco, la Banca centrale europea su quello della Bundesbank, vincoli e programmi sono stati esattamente quelli che la Germania aveva impostato a partire dalla riunificazione fra Est e Ovest. Non c’è stato un solo accordo che non sia stato siglato se non sulla base delle necessità tedesche, dalle banche al debito, dalle poste di bilancio ai cambi, dai parametri ai limiti di tolleranza, tutto ha seguito un’unica logica. Oltretutto si è proceduto alla rovescia, prima la moneta unica e poi tutto il resto, esattamente il contrario di quello che accadde negli Stati Uniti, se proprio volessimo tornare sul fantasioso confronto.

Va da sé, infatti, che non c’è moneta che possa unire se manca l’unità su tutto il resto, anzi in genere è proprio sui soldi che ci si divide e, infatti, così è successo e sta succedendo. Del resto in larga parte la nostra storia più recente è simile, l’Italia si è divisa in due perché il Nord ha corso e il Sud no, per il Nord la cultura dello sviluppo per il Sud quella dell’assistenza. Insomma, quando la politica si concentra su chi è più forte anziché su chi è più debole, premia la forza e punisce la debolezza, sposta l’attenzione sul meglio e trascura il peggio... non funziona. Il Sud in Italia anziché diventare il punto focale di ogni politica sana di crescita e sviluppo, dalla quale trarre risultati potenzialmente strepitosi, con il tempo è diventato un peso, utile solo a scopo elettorale. E non si parli per carità di patria della Cassa del mezzogiorno e di tante altre fattispecie messe in piedi per fare porcherie e affari politici.

Insomma, le velocità diverse non nascono dal nulla, si determinano quando la politica chiude gli occhi, fa finta, divide l’attenzione fra serie A e serie B, cura il ricco e trascura il povero. Da noi è stato così e nel tempo la trascuratezza per il Sud si è trasformata in mero assistenzialismo a fini elettorali, sociali, sindacali. Dunque le due velocità non funzionano e quando, come nel caso dell’Europa, non c’è nemmeno una Costituzione che unisca indissolubilmente, non sono altro che l’inizio della fine. Ed è proprio quello che la Germania intende e fa chiaramente intendere con la proposta recente sui gruppi di testa e quelli di coda, gli ultimi si staccheranno sempre di più e alla fine salterà l’Euro e tutto il cucuzzaro.

Resterà la Germania, forse la Francia (dipenderà dalle prossime presidenziali), mentre sull’Italia c’è poco da scommettere, ma a quel punto i giochi saranno già chiusi e del sogno europeo non resterà nulla. Insomma, serve altro, serve un’altra Europa e ammesso che si voglia insistere con l’Euro, bisogna cancellare l’attuale impianto e riscriverne uno nuovo di zecca, posto che si faccia in tempo. Dunque le strade sono tracciate almeno per noi e per i Paesi più fragili, o una morte lenta e dolorosa, visto il disastro dei conti, oppure uno choc certo non indolore, ma che offra una scelta di futuro e libertà. Sia chiaro per morte lenta intendiamo una sopravvivenza comatosa, che ci renderà un Paese sempre in bilico e non autonomo, sempre che il crescente vento euroscettico non spazi via prima ogni altra ipotesi.

In fondo il problema sta proprio qui, insistere nel non riconoscere il fallimento dell’Euro e la necessità di un cambiamento coraggioso ed epocale, che contempli lo smantellamento di un progetto e la costruzione di uno nuovo. Ecco perché bisogna attrezzarsi a una exit strategy, autonoma e impegnativa, ecco perché ritornare padroni di noi stessi conta eccome, ecco perché il nostro futuro non possiamo delegarlo a altri.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:42