Cuneo fiscale e cuneo mentale

Leonardo Sciascia, nel “Candido - ovvero - Un sogno fatto in Sicilia”, edito da Einaudi nel 1977, alla pagina 119 scrive: “Finché una sera, tornando da una di quelle riunioni, Francesca disse - E se fossero soltanto degli imbecilli? E fu il principio della liberazione, della guarigione”. Qui non dico chi fossero gl’imbecilli, per incuriosire il lettore a cercarseli. Però gli dico che quegli imbecilli, anche quando cambiano nome, non cambiano connotati. E restano imbecilli, perché l’ideologia affumica le loro meningi. Non ragionano. Peggio, rifiutano di capire. L’essenza economica del cuneo fiscale non può, infatti, penetrare nelle teste dov’è confitto il cuneo mentale della stupidità.

Nel 1969 uscì in Italia per Vallecchi “La società libera” di Friedrich A. von Hayek, una Bibbia della libertà, che perciò pochissimi comprarono e meno ancora lessero, il quale a pagina 131 scrive: “Si può veramente credere che in Italia il lavoratore semispecializzato medio stia meglio perché il 44 per cento della spesa totale del datore di lavoro è consegnato allo Stato o, in cifre reali, perché delle 3.060 lire di quanto il datore di lavoro paga per un’ora di lavoro, egli ne riceve solo 1.685, mentre 1.373 vengono spese per conto suo dallo Stato? O che, se il lavoratore capisse la situazione e avesse la possibilità di scegliere tra questa situazione e la disponibilità di un reddito quasi doppio senza la sicurezza sociale, sceglierebbe la prima? Si può seriamente negare che la maggior parte della gente sarebbe più ricca se il denaro le fosse consegnato e fosse libera di assicurarsi presso società private?”. Hayek ricorda che in Belgio gli stessi operai e impiegati posero fine a questo corso delle cose dopo che, in dodici anni, gli oneri sociali sul costo del lavoro erano aumentati dal 25 al 41 per cento dei salari.

Nel pamphlet “La democrazia illiberale - Un memorandum sull’Italia del 1984” alla pagina 73 (scusate l’autocitazione giustificata dai dati documentati) scrivo: “Il più forte incentivo alla disoccupazione è il costo del lavoro. Di fatto l’assunzione di personale è gravata da una pesante aliquota parafiscale. Perciò gl’imprenditori riluttano a dare lavoro. Il divario tra il costo del lavoro per il datore e il guadagno netto del lavoratore è diventato così insopportabile che ci rimettono tutti. Le cifre cantano. Facciamo l’esempio di un operaio dell’industria che nel marzo 1983 percepisse una retribuzione lorda di 100.000 lire. 1) oneri sociali: a) per il datore 50.910; b) per il lavoratore 8.650. 2) costo dell’operaio per il datore di lavoro: 100.000 + 50.910 = 150.910. 3) paga dell’operaio al netto degli oneri sociali: 100.000 – 8.650 = 91.350. 4) divario: 150.910 – 91.350 = 59.560. Ma non è finita. Il costo del lavoratore in realtà è maggiore di quello indicato sub 2 perché il datore di lavoro deve (dovrebbe) accantonare anche l’indennità di fine lavoro. La paga del lavoratore è inferiore a quella indicata sub 3 perché devono (dovrebbero) essere detratte le imposte personali”. Tale situazione fu confermata dallo stesso Governo nella Relazione previsionale e programmatica per il 1984: “L’aumento dell’imposizione fiscale dovuta alla dilatazione del settore pubblico ha portato nel tempo ad aumenti nel costo del lavoro a parità di salario reale netto”. Tutto questo per mostrare quanto vecchia sia la questione.

Trent’anni fa, forse neppure si usava l’espressione “cuneo fiscale”. Il fenomeno era ben conosciuto ma non se ne parlava. Benché la cosiddetta parafiscalità non abbia fatto che peggiorare, è stato il ticchettio sinistro della bomba previdenziale ad allarmare quei famosi imbecilli, i quali hanno sì cominciato a recepire vagamente le preoccupazioni degli Hayek ma senza capire appieno la gravità del fenomeno per l’intera economia e per la stessa libertà. La “finanza parafiscale” è dunque disamministrata al pari della “finanza fiscale”. Entrambe stanno distruggendo il mercato del lavoro, caricando sulle spalle degli imprenditori e dei lavoratori imposte, tasse e contributi viepiù insopportabili perché a scopo pretesamente sociale. Non saranno le limature al cuneo fiscale a salvarci, ma radere al suolo il castello statale previdenziale ed assistenziale, costoso e dissipatore, che non ci difende più dai guai della vita. È diventato esso stesso la nostra prigione mortale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:29