“Distressed asset”: un mare di incognite

Il 7 e l’8 aprile a Malta i ministri finanziari dell’Unione europea, dopo tanti indugi, si troveranno a discutere, per la prima volta, dei crediti in default delle banche.

L’incontro verterà su quanto predisposto dal comitato di stabilità finanziaria, composto dai più alti dirigenti e tecnici finanziari dei vari dicasteri europei con il presidente Vincenzo La Via, già direttore generale del Tesoro Italiano (fatto, questo, che la dice lunga su come in tale incontro sarà posta l’attenzione di tutti sulla situazione economico-finanziaria della Penisola).

I dati mostrano come Roma si ponga verso tutti gli altri membri dell’Unione: la sua economia conta meno di 1/6 del totale Ue, però i suoi “distressed asset” sono più di un terzo del totale complessivo. Tale record negativo vede l’Italia con crediti deteriorati rappresentati da un prestito sui dieci concessi pari a un terzo di quelli complessivi nelle 122 banche europee. I 14 principali istituti italiani al 30 settembre dello scorso anno avevano in portafoglio 284,4 miliardi di crediti “non-performing”: solamente 1,6 miliardi in meno rispetto a tre mesi prima, e ciò nonostante siano aumentati in maniera considerevole gli accantonamenti in seno agli stessi istituti.

In Italia il problema è stato affrontato con uno schema di cartolarizzazione dei crediti deteriorati tramite una garanzia statale con un fondo guidato da enti e soggetti privati, denominato Fondo Atlante, con risultati però poco significativi. L’Ecofin a Malta spingerà l’Italia ad affrontare il “teorema della percezione”: il pensiero univoco che aleggia a Bruxelles è che ove l’Italia ponesse in essere un aumento del debito pubblico per ricapitalizzare, dopo il Monte dei Paschi di Siena nonché le due banche venete e Carige, le altre banche oggi in difficoltà; ebbene, ciò farebbe calare e non salire in maniera sensibile lo spread: lo scarto percentuale esistente tra i titoli decennali del debito di Germania e Italia.

Sicuramente Roma dovrà dimostrare in maniera concreta una capacità tecnica oltre che politica di affrontare il problema alla radice con forza, coraggio e pragmatismo, perché solo così si permetterebbe una ripresa dell’economia tramite un aumento del credito alle imprese anche medio-piccole, da sempre base del sistema economico Italia. A ciò si aggiunga che esistono, peraltro, norme che agevolerebbero un risultato importante quali una legge fallimentare nuova, lo snellimento delle procedure giudiziarie indirizzate al recupero coatto delle garanzie di debitori insolventi e la nuova negoziazione salariale da portare in azienda (per diminuire il costo del lavoro per le imprese, ma altresì incrementare la produttività e la soddisfazione dei lavoratori in seno alle stesse).

In ultimo, un cenno a quanto avanzato pochi giorni orsono dall’Eba (L’Autorità bancaria europea) in merito a uno studio che porti alla creazione di una “bad bank” a carattere europeo: sulla carta parrebbe un’idea interessante capace di condurre alla condivisione del rischio nell’intera Ue; in realtà sarà un’altra forma di contrasto tra i membri virtuosi, in linea con quanto previsto in termini economici e di stabilità, e i membri meno virtuosi. Prima di tutti, naturalmente, l’Italia.

(*) Diritto societario, Diritto finanziario italiano e dei mercati internazionali

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:22