La politica in ostaggio degli interessi speciali

sabato 25 febbraio 2017


Se c’è una lezione che ci dà la vicenda Uber e quella che riguarda Flixbus, è che in Italia la politica rimane lo strumento di tutela degli interessi speciali. Niente di strano, succede in tutte le democrazie, a partire dagli Stati Uniti, dove i sistemi di lobbying sono trasparenti e regolamentati. In Italia invece si assiste ad un doppio fenomeno: da un lato, la grande ingerenza dello Stato nell’economia consente alla politica di intervenire in molti settori, con leggi, regolamenti, certificazioni, dall’altro lo stesso Stato non promulga l’unica legge che servirebbe: ovvero quella della regolamentazione dei processi di lobbying.

Dietro ogni grande “battaglia” contro un’attività commerciale si nasconde sempre l’interesse organizzato di altre attività, o di singoli e potenti imprenditori che non vogliono competere con nuovi attori del mercato. Lo stesso accade per la liberalizzazione delle droghe leggere, osteggiate, in questo caso, da chi produce e vende prodotti “alternativi”, o rivali, come gli alcolici o gli psicofarmaci.

Ogni legge, nel Parlamento, è soggetta al controllo degli interessi speciali: enti, gruppi, ma soprattutto aziende, che inviano ogni giorno i propri rappresentanti al cospetto di deputati, senatori e assistenti parlamentari per convincere questo o quell’interlocutore che “quella legge costerà consenso politico”, ovvero il pane che alimenta i sistemi di governo democratici.

Quello che invece viene completamente dimenticato è l’interesse collettivo che, per natura, non è organizzato. È facile raggruppare i lavoratori di un determinato settore, motivati dall’obiettivo del guadagno e dell’arricchimento, ed è invece molto difficile strutturare l’interesse di consumatori o comuni cittadini, il cui interesse è invece quello di risparmiare. E un cittadino che non potrà più usare un servizio low-cost proverà a risparmiare in altro modo, ad esempio riducendo i propri consumi. Adopererà, insomma, dei comportamenti che gli consentano di sopperire al mancato “risparmio”, senza scendere in piazza, senza lanciare fumogeni, ma stringendo la cinghia. Una reazione “pacifica” su cui fanno leva i grandi gruppi organizzati che, invece, cercano il guadagno e l’eliminazione della concorrenza tramite vere e proprie leggi “truffa” a scapito dei cittadini e dei consumatori.

A poco o nulla serviranno le pacifiche proteste già annunciate dai sostenitori del libero mercato, come abbiamo imparato qualche giorno fa. La politica ascolta i violenti. Una pessima lezione di governo che ce ne ricorda un’altra troppo spesso dimenticata. La tutela degli interessi speciali a scapito di quelli collettivi terminerà a una sola condizione: che lo Stato esca dall’economia del nostro Paese.


di Elisa Serafini