Giù dalla Torre Eiffel   ma senza il paracadute

In tema di sovranismo monetario, il nostro ottimo Cristofaro Sola scrive su queste pagine che in Italia vincerà le elezioni chi sarà in grado di presentare “i piani migliori su come uscire dall’Euro senza rimetterci le penne”.

Ora, utilizzando uno dei simboli del Paese a cui appartiene la madre di tutti i sovranismi europei, la francese Marine Le Pen, ciò sarebbe come trovare il sistema infallibile per tuffarsi dalla cima della Torre Eiffel senza paracadute rimando interi. E sebbene le leggi dell’economia non sembrano così esatte come quelle della gravità, nondimeno troppi elementi di buon senso ci inducono a pensare che, sul piano valutario, una nostra dipartita dalla moneta unica avrebbe un impatto simile a quello del citato salto nel vuoto di oltre 300 metri.

A prescindere dalla trita questione della svalutazione competitiva, la quale allo stato sembra essere l’unico argomento a cui si attaccano i sovranisti italiani, questi ultimi non sembrano in grado di indicare uno straccio di paracadute per la lunga lista di catastrofiche conseguenze che si determinerebbero nel caso sciagurato di un ritorno alla Lira. In particolare, a fronte di un mostruoso indebitamento sovrano, che l’Ocse ricalcola nel 155 per cento del Prodotto interno lordo, includendo le amministrazioni locali, e con un sistema del credito che appare ingolfato da una massa di sofferenze che ammonta ad un terzo dell’intera zona Euro, costoro pensano seriamente che il mondo continuerà a prestarci i quattrini agli attuali tassi al di fuori della stessa moneta unica?

Senza più l’ombrello del poderoso sottostante economico europeo, è certo che la fiducia dei mercati finanziari, compreso quello interno, sulla capacità italiota di onorare i debiti cadrebbe a livello verticale, dando per scontata la nostra antica propensione a monetizzare i debiti medesimi, ovvero stampare pezzi di carta targati Banca d’Italia all’occorrenza, seguendo sulla via delle catastrofi a scelta la tragiche esperienze di Argentina e Venezuela.

E al di là di tutta una serie di questioni legate più strettamente alla sfera economica, che da tempo mi sforzo di descrivere su questo Foglio, l’aspetto legato all’inevitabile esplosione del saggio d’interesse sui titoli pubblici dovrebbe essere già sufficiente a limitare una nostra, assai diffusa propensione al suicidio economico-finanziario di massa. A meno che la decrescita molto infelice susseguente all’inevitabile default, con tanto di ritorno all’autarchia delle pezze nel di dietro, non rappresenti un paradigma accettabile per un popolo che ambisca a ritornare alla gloriosa frugalità degli antichi conquistatori di un impero.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:22