Economisti da bar

Venerdì scorso ho assistito, nel corso del talk-show condotto su La7 da Lilli Gruber, ad un surreale dibattito a tre sul tema caldo del protezionismo. Mattatore della serata, in senso umoristico, il leghista Claudio Borghi, contrapposto al giuslavorista Pietro Ichino e unito sull’opzione folle “usciamo trionfalmente dall’Euro” al più prudente Marcello Minenna, ex assessore al Bilancio della giunta romana a Cinque stelle, dimessosi denunciando la scarsa trasparenza della gestione capitolina pentastellata.

Nella discussione, Borghi, che dovrebbe rappresentare il consigliere economico più accreditato di Matteo Salvini, è stato autore di una raffica di stupefacenti dichiarazioni di cui è sembrato impossibile scorgere una qualsiasi coerenza logica, tanto da far sembrare il democrat Ichino un luminare di prima grandezza.

Partendo da uno spunto della conduttrice, la quale ha chiesto quali potrebbero essere per l’Italia le conseguenze del protezionismo avanzato da Donald Trump, il nostro ha esordito con una considerazione stupefacente: attualmente il nostro Paese è in surplus commerciale, testuale, per colpa dell’Euro e dei parametri ad esso collegati. Ergo, secondo Borghi, si stava meglio quando si stava peggio, allorché con la leggerissima liretta non solo molti beni d’importazione erano un lusso per pochi e, anche a causa del crescente costo delle materie prime, la bilancia commerciale era costantemente in rosso.

Ma non basta, nel corso del dibattito l’esponente leghista è riuscito a dire che la moneta unica penalizza le nostre esportazioni - ma anche no, visto che siamo stabilmente in attivo nel rapporto import/export - perché è troppo forte, mentre nel contempo aiuta la Germania cinica e bara perché troppo debole in relazione all’economia tedesca. Insomma, secondo Borghi l’Euro è una “divisa” che va o troppo stretta o troppo larga a seconda del soggetto che la indossa. Inoltre, sempre in merito alle nostre esportazioni, l’esponente leghista si è mostrato recisamente contro il trattato commerciale transatlantico, così da trovare nella Città del Vaticano, nella Repubblica di San Marino e nel Principato di Monaco sbocchi di mercato alternativi a quello americano.

Tuttavia è sul tema fondamentale del debito pubblico italiano che Borghi ha raggiunto l’apoteosi del nonsense, soprattutto quando ha trionfalmente dichiarato che nell’aumentarlo ulteriormente non vede alcun problema, anzi! In questo Borghi ha finalmente trovato la pietra filosofale dell’economia, il moto perpetuo della ricchezza o il sistema infallibile per violare la seconda legge della termodinamica. A suo avviso, infatti, se consideriamo che ad ogni nuova emissione di titoli del debito fa automaticamente seguito un attivo per qualcuno, ciò non costituisce un problema bensì la migliore soluzione per uscire dai guai.

Nel mondo incantato di Claudio Borghi tutto si crea attraverso il miracolo della monetizzazione di ogni passivo, trasformando in ricchezza sonante la propensione della nostra democrazia di Pulcinella a reggersi sempre più sui prestiti. Certo, se questa è la visione economica di una destra che vuole ragionevolmente contrapporsi alla magmatica sinistra di governo, non c’è da stare molto allegri.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:18