Il protezionismo e i paradossi italioti

I due principali partiti del variegato fronte populista, il Movimento Cinque Stelle e la Lega Nord, continuano ad inneggiare alle sorti certe e progressive degli Stati Uniti d’America di Donald Trump.

In particolare, essendo queste due forze politiche fortemente orientate al protezionismo, i propositi espressi ossessivamente in tal senso dal neo-presidente a stelle e strisce sembrano mandare letteralmente in estasi Matteo Salvini e Beppe Grillo. Il che, al di là di qualunque altra considerazione politica, la dice lunga circa il livello di concretezza che in questa fase esprimono i vertici dei grillini e dei leghisti. In sostanza, soprattutto per l’economia italiana, inneggiare alle spinte isolazioniste di Trump equivale alla medesima soddisfazione di quel proverbiale marito che, per fare un dispetto alla moglie, si taglia i propri attributi anatomici. Basti dire che, numeri alla mano, nel periodo gennaio/settembre del 2016 l’Italia ha esportato negli Usa beni e servizi per un valore di 27,121 miliardi di euro, mentre le nostre importazioni dallo Zio Sam sono state di 10,420 miliardi, ossia poco più di un terzo.

Questo significa che se davvero il nuovo inquilino della Casa Bianca riuscisse ad imprimere una svolta protezionistica di carattere mondiale, superando i colossali ostacoli che il sistema istituzionale statunitense impone a qualunque presidente democraticamente eletto, il nostro Paese, molto ricco di chiacchieroni da bar e poverissimo di materie prime, dovrebbe seriamente prendere in considerazione le teorie della cosiddetta decrescita “felice”.

D’altro canto, se buona parte di chi si oppone ai tutori del deficit-spending che attualmente occupano la stanza bottoni è composto da personaggi che intendono proteggere il “made in Italy” con le barriere doganali, senza considerarne i gravi effetti che ciò comporterebbe per un Paese fortemente inserito nella tanto bistrattata globalizzazione, allora abbiamo veramente poche speranze di salvezza. Se per salvezza intendiamo quanto meno il mantenimento dell’attuale standard di benessere materiale raggiunto dall’Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:29