Lavoro: tra voucher   e mancati miracoli

Pressato dalla sinistra interna, la quale si batte per eliminare del tutto i cosiddetti voucher, il Partito Democratico si trova letteralmente in stato confusionale sulla spinosa questione lavoro.

Una questione che si riflette inesorabilmente sul fragile Governo Gentiloni, chiamato a mettere una toppa sull’ampio squarcio che il referendum sul Jobs Act renziano sta creando tra riformisti ed esponenti della vecchia sinistra politico-sindacale. E come troppo spesso accade in Italia, soprattutto quando si radicalizza lo scontro su posizioni di principio, la confusione tende a regnare sovrana.

In realtà le cose sono di una semplicità estrema. I citati voucher, con tutti i difetti che vogliamo trovare loro, rappresentano in estrema sintesi una risposta praticabile da parte di molte attività imprenditoriali ai costi proibitivi che la mano pubblica impone sui contratti a tempo indeterminato. Se consideriamo che oramai da decenni nel nostro Paese la componente non salariale di detti contratti eccede sensibilmente quella salariale netta, ben si comprende la vera e propria esplosione di codesta forma molto semplificata di rapporto lavorativo. Basti pensare che nei primi dieci mesi del 2016 sono stati venduti oltre 121 milioni di voucher, con una crescita esponenziale rispetto alla loro prima introduzione.

Ora, la soluzione per “salvare” dal cosiddetto precariato milioni di individui non può certamente essere quella invocata dalla sinistra di tradizione comunista, che si rifà al modello anni Settanta del salario quale variabile indipendente da qualunque altro fattore. Ma neppure la linea renziana degli sgravi temporanei, che ci è costata almeno 18 miliardi di euro, ci porta molto lontano, dato che svanito l’effetto di questi ultimi le aziende tendono automaticamente a disfarsi dell’occupazione aggiuntiva. In realtà, così come invoca da tempo immemorabile la nostra piccola riserva indiana liberale, la strada maestra per dare fiato all’economia e all’occupazione passa attraverso una decisa riduzione dello Stato assistenziale e burocratico.

Solo abbattendo sensibilmente la montagna di un sistema pubblico che costa complessivamente il 55 per cento del Prodotto interno lordo possiamo pensare ad una vera riforma del mercato del lavoro. Al di fuori di questa linea, almeno per molti, ci sono i voucher o la disoccupazione, tertium non datur.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23