Chiamare le cose   con il giusto nome

Il Presidente del Consiglio aveva assicurato che sarebbe stata eliminata: ma la tassa Airbnb non è stata ancora cancellata dal disegno di legge di stabilità, solo accantonata in attesa che le acque si calmino, che si trovi un accordo politico o - chissà - che l’opinione pubblica se ne dimentichi.

Prima che anche questa vicenda sparisca dai giornali, sarebbe almeno il caso di chiamare le cose col proprio nome: la norma, contenuta in diversi emendamenti, non tassa le locazioni per brevi periodi. Queste sono già tassate. Già oggi i proprietari di un immobile che viene dato in affitto per brevi periodi, magari solo per una notte, sono obbligati a pagarci le imposte: o assoggettando il relativo reddito all’Irpef od optando per la cedolare secca del 21 per cento. Quello che fa la norma proposta, quindi, non è ripristinare l’equità fiscale tra gli albergatori e gli affittacamere. Invece, elimina la possibilità di scelta tra le due forme di tassazione e obbliga tutti alla cedolare.

Paradossalmente, chi ha redditi più bassi e magari arrotonda affittando una camera di casa propria, dovrà pagare tasse più alte di quanto non paga oggi. Il Governo, però, prende due piccioni con una fava: da un lato aumenta le entrate, perché chi non trovava conveniente, per motivi di reddito, scegliere oggi la cedolare, sarà obbligato a farlo. Dall’altro, impone agli intermediari come Airbnb di diventare sostituti di imposta, scaricando su di essi gli oneri burocratici collegati all’emersione dell’imponibile e, di fatto, obbligandoli ad avere una sede in Italia: in attesa di una web tax per tutti, si comincia ad applicarla per settori.

Siamo esseri umani: ogni tanto vedere un nostro concorrente che inciampa ci dà una strepitosa soddisfazione. Per questo motivo esulteranno albergatori e operatori turistici “tradizionali”. Non c'è un solo dei loro problemi che venga risolto da questa norma, ma ne crea a quelli che considerano concorrenti non convenzionali e, quindi, sleali.

Dovrebbe essere chiaro, però, che prima ancora che intermediari come Airbnb, i quali potranno sempre consolarsi in mercati stranieri più accoglienti, a soffrirne saranno migliaia di italiani proprietari di casa: quelli che con gli affitti a breve termine cercano di arrotondare un reddito già falcidiato dalle imposte.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23