“Il Sole 24 Ore”, profondo rosso e situazione esplosiva

Un lungo applauso ha accolto l’annuncio dello sciopero da parte dei giornalisti-azionisti de “Il Sole 24 Ore”, il quotidiano della Confindustria che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con una perdita di 61,6 milioni di euro. È un fatto raro, se non eccezionale, nella storia del sindacalismo che lo stop dell’azienda che ti dà lavoro e la retribuzione venga accolto con tanto entusiasmo e partecipazione. Quando il giornalista Giovanni Negri, membro del comitato di redazione, ha comunicato alla fine del suo discorso, nell’assemblea del gruppo, che i giornalisti avrebbero deposto le penne o meglio lasciato in bianco i computer per una giornata di protesta è sembrato un atto liberatorio. Mesi e mesi di sofferenze, estenuanti trattative, assemblee, incontri e dimissioni del presidente Giorgio Squinzi: tutto passava davanti agli occhi increduli di professionisti abituati a trattare questioni economiche e finanziarie nazionali e internazionali.

La preoccupazione di veder affondare una struttura che ha fatto la storia del giornalismo economico in Italia (superato solo dal “Financial Times”) ha fatto uno scatto. Era avvenuto anche all’assemblea dei soci del Gruppo Rcs, quando un membro del comitato di redazione aveva rivendicato ai giornalisti di lasciar fare il loro dovere a fronte della responsabilità dei manager di non aver ben gestito gli aspetti economici, portando il bilancio in rosso a seguito di clamorosi errori, compresa la vendita della storica sede di via Solferino. Gli errori e le guerre di cordate si pagano, ma a rimetterci maggiormente sono i dipendenti.

Nella relazione sui risultati al 30 settembre viene confermato l’abbandono del piano industriale 2015/19 e la riformulazione di un nuovo piano 2016/20, che prevede il risanamento della struttura economico-finanziaria del gruppo attraverso un’incisiva azione di riduzione dei costi e “l’efficientamento gestionale”, un intervento sulle aree attualmente in perdita, un’attenzione al ruolo strategico del quotidiano. In una parola, l’intenzione è quella di cambiare strada.

Alla guida è stato scelto l’ex presidente di Confindustria dal 1996 al 2000, l’imprenditore lombardo Giorgio Fossa (nella foto), che sarà affiancato da un nuovo consiglio di amministrazione composto da Luigi Abete, Francesca Di Girolamo, Edoardo Garrone, Luigi Gubitosi (ex direttore generale Rai), Giuseppina Amarelli Mengano, Patrizia Micucci, Marcella Panucci, Carlo Robiglio, Livia Salvini, Massimo Tononi. L’intenzione del principale azionista (67,5 del capitale è di Confindustria) è quello di garantire la massima autonomia editoriale di cui “Il Sole 24 Ore” ha bisogno per rimanere strumento essenziale d’informazione economico-finanziaria e di diffusione della cultura dell’impresa e dell’industria. La Confindustria come azionista sborserà 58,7 milioni di nuovo capitale che erano stati posti in bilancio per attività istituzionali, con ripercussioni sui milleduecentocinquanta dipendenti di viale dell’Astronomia, dove sono sempre più evidenti le distanze tra il gruppo di Gianfelice Rocca (presidente della Assolombarda) e quello di Vincenzo Boccia (Sud), quest’ultimo accusato tra l’altro di aver schierato l’associazione degli industriali a favore del “Sì” al referendum costituzionale.

Cosa è successo al grande giornale economico? In otto anni di quotazione in Borsa sono stati bruciati circa 350 milioni di liquidità, anche se dal mercato erano arrivati circa 200 milioni. Il tracollo è attribuito ad errori di amministratori, a conflitti d’interesse (le famose rotative che impediscono oggi di passare al formato tabloid), a copie gonfiate sulle quali sta indagando la Procura di Milano. Rispondendo ad una domanda, Luigi Abete, vicepresidente del gruppo, ha risposto che “se ci sono state responsabilità civili saranno perseguite come tutte le altre irregolarità, secondo le normative vigenti”. Il gruppo sul piano legale sarà difeso dall’ex ministro Paola Severino. L’ipotesi, infatti, è quella di falso in bilancio derivante dal pasticcio della quotazione in Borsa, dal sospetto di trucchi sulle copie diffuse. Le inchieste aperte sono due: una della Procura (l’inchiesta è affidata al pubblico ministero Francesco Greco) e l’altra dalla Consob nata dagli esposti presentati da un gruppo di giornalisti e dall’associazione dei consumatori Adusbef. Negli esposti vengono ripercorse le vicende che vanno dal 6 dicembre 2007, quando il “Gruppo 24 Ore” fu quotato a Piazza Affari (le azioni valevano 5,75 euro l’una mentre oggi non hanno un valore superiore ai 30/40 centesimi). Per quanto riguarda le copie si è passati dalle 245mila circa del 2012 a 345mila, ma grazie a 244mila copie digitali vendute a pacchetti o singolarmente. Per la società che certifica la diffusione l’Ads (Accertamenti Diffusione Stampa) nel marzo 2016 erano però da escludere nel conteggio 109mila copie multiple trattate, tempo addietro, dalla società Di Source.

Sono tutte vicende che dovranno essere chiarite. Secondo Giovanni Negri non è accettabile nessun piano lacrime e sangue, perché nove anni di riduzione concordata dei salari, massicci prepensionamenti e discesa dell’organico non sono bastati a riportare in linea di galleggiamento il conto economico del gruppo. Per Giorgio Fossa, allora, una strada tutta in salita per riportare i conti sotto controllo e ridare credibilità al quotidiano economico milanese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23